Intervista a Marwa Mahmoud, a cura di Sabia Braccia

Marwa Mahmoud, attivista per i diritti umani, civili e per la cittadinanza, nata ad Alessandria d’Egitto e cresciuta a Reggio Emilia, è una giovane donna che dopo aver vissuto difficoltà e limitazioni nel conseguimento della cittadinanza italiana ha co-fondato il Movimento Italiani senza cittadinanza e poi il Coordinamento nazionale delle nuove generazioni italiane. Dal 2019 è consigliera comunale a Reggio Emilia dove presiede la Commissione  “Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali” e dal 2023 si occupa di Partecipazione e formazione politica nella segreteria nazionale del Partito Democratico.

Iniziamo da ciò che l’ha spinta all’impegno civile. Ha dichiarato più volte che il suo attivismo e il suo impegno politico si sono sviluppati a causa delle difficoltà che ha riscontrato nell’ottenere la cittadinanza italiana e delle opportunità che le sono state precluse, come il servizio civile, la partecipazione al programma Erasmus e ai concorsi pubblici e la possibilità di votare fino ai 22 anni. Da lì è nato anche il suo impegno nel movimento “Italiani senza cittadinanza” e nel CoNNGI – Coordinamento Nazionale delle Nuove Generazioni Italiane. Secondo lei le attuali politiche europee in tema di cittadinanza riescono a rispecchiare il contesto interculturale che stiamo vivendo?

Sicuramente le politiche europee stanno cercando di definire e di delineare, diciamo così, una visione che possa rispondere alle sfide che ci pone questa società interculturale e lo stanno facendo in maniera molto differente, perché ovviamente ogni è stato autonomo anche in termini di definizione delle proprie politiche di acquisizione della cittadinanza. Se vogliamo c’è un allineamento rispetto alle politiche di accoglienza e della redistribuzione che dovrebbe avvenire, mentre rispetto alle politiche che riguardano il conseguimento della cittadinanza c’è un confronto per capire come essere allineati. È ovvio che l’Unione europea ci dà delle indicazioni e delle direttive che dobbiamo cercare di rispettare e che riguardano il pieno riconoscimento dei diritti umani delle persone; ciò che noi andiamo a richiedere alle persone non deve essere lesivo della loro dignità e del fatto che debba esserci uguaglianza fra loro. Ovviamente a livello nazionale noi dobbiamo ancora fare moltissimo perché la politica viaggia su un binario molto lento rispetto a quello della società; nella società attuale abbiamo tanti atleti con background internazionale, abbiamo tanti artisti con differenti contesti di provenienza, magari delle loro famiglie di origine, dei loro genitori o anche solo di un genitore, così come abbiamo contesti davvero molto interculturali sui banchi di scuola… La politica dovrebbe trovare la capacità di disciplinare per l’acquisizione della cittadinanza italiana in modo che tutti i ragazzi e le ragazze che nascono e crescono in Italia siano riconosciuti con cittadinanza italiana.

Credi che per fronteggiare questo problema a livello nazionale si dovrebbe cambiare la normativa o basterebbe velocizzare il processo di acquisizione della cittadinanza?

La normativa del 1992 era principalmente rivolta alla diaspora italiana all’estero e ai migranti economici in Italia, cioè quegli adulti che decidono di migrare per cercare una vita più dignitosa rispetto al proprio paese di origine. È ovvio che rivolgendosi principalmente a loro non teneva in considerazione le nuove generazioni; oggi bisognerebbe trovare il modo di formulare se non una riforma sicuramente una nuova legislazione che possa tenere in considerazione la presenza che c’è oggigiorno. Nel 1992 c’erano cinquecentomila persone richiedenti cittadinanza italiana o comunque migranti economici, oggi c’è oltre un milione e mezzo di ragazzi in attesa della cittadinanza italiana. Sono cambiate tantissimo le cifre e non è più possibile tenere esclusi una serie di ragazze e di ragazzi che ne soffrono tantissimo.

Va notato che in effetti, anche a livello nazionale, il tema delle “nuove generazioni” viene spesso surclassato dall’agenda-setting mediatica nell’ambito della narrazione sull’immigrazione. Se ne parla poco e spesso in connessione a fatti di cronaca e non con il dovuto approfondimento che una simile questione, così “calda” dovrebbe avere. Perché avviene questo?

Sicuramente è molto più facile unire le persone attorno a una paura, è molto più semplice utilizzare un capro espiatorio, è molto più facile soffiare sul vento della xenofobia. In questo modo abbiamo una categoria o un gruppo di persone con cui accanirci ed è la modalità migliore per trasformare quello che è il malcontento sociale in un consenso elettorale che dice “noi che vi consideriamo ultimi non vogliamo riconoscervi pari diritti”. Questo fa sì che ci sia un accanimento nei confronti dei migranti in generale che molto spesso non hanno diritto al voto e molto spesso non hanno neanche voce in capitolo per rispondere equamente. Non è che quando si ha una speculazione il giorno dopo una comunità, un’associazione o un gruppo di persone risponde con un comunicato stampa – perché molto spesso queste persone sono grandi lavoratori o lavoratrici che magari non masticano così bene la lingua italiana, che non leggono i giornali e che magari non seguono nemmeno bene i media. Le nuove generazioni invece sono tendenzialmente un gruppo di persone molto differenti dai migranti economici perché nascono o crescono qui, acquisiscono qui gli strumenti e i codici linguistici e culturali e questo fa sì che siano molto più sul pezzo. Loro riescono a comprendere meglio quello che viene narrato per cui non stanno a queste logiche e vogliono rispondere. Se attacchi un bersaglio mobile e più vulnerabile è facile che tu non abbia risposta, mentre molto più difficile è quando vai ad attaccare le nuove generazioni che rispondono a tono.

Da quando avete fondato il CoNNGI (Coordinamento nazionale delle nuove generazioni italiane) in cosa consiste il vostro impegno specifico? Quali sono gli obiettivi che vi proponete e come lavorate per raggiungerli? 

Da quando sono stata eletta nel consiglio comunale di Reggio Emilia, quindi da ormai 5 anni, sono uscita dagli organi collegiali di CoNNGI o di Italiani senza cittadinanza perché non fosse motivo di sovrapposizione; era giusto che io facessi politica all’interno delle istituzioni, ovviamente sempre con una mano tesa e con un occhio proteso a loro. Ciò che fa il CoNNGI è il porsi come un soggetto politico, sociale e culturale in grado di rappresentare le nuove generazioni, in grado far superare tutti quegli stereotipi e pregiudizi che vengono spesso alimentati da un cattivo modo di fare politica e che portano le persone a considerare tutte gli individui con background migratorio, quindi anche i figli dei migranti nati qui, come se fossero un fardello per la società, come se non fossero persone singole e individuali o come se non contribuissero al progresso di questa società.

Le politiche europee in materia di immigrazione forniscono incentivi agli Stati membri affinché questi ultimi favoriscano l’integrazione ma non è previsto un allineamento giuridico in materia di integrazione che armonizzi gli ordinamenti di tutti gli Stati dell’UE. Sul tema dell’integrazione come crede che si posizioni il Nostro Paese in ambito comunitario?

Credo che in Italia diversamente dagli altri paesi dove magari hanno optato per altri modelli come il multiculturalismo (Regno Unito) o l’assimilazionismo (Francia) abbia vinto soprattutto la capacità di creare delle buone prassi a livello locale, perché l’Italia è un grandissimo Paese dove la forza è data soprattutto dai territori, dalla buona volontà e dalla sensibilità su cui si reggono tante buone prassi e tanti progetti. Bisognerebbe riuscire ad arrivare a trovare una sintesi il sistema e creare una legge quadro nazionale sull’immigrazione, sull’accoglienza e sulla coesione sociale, cosa di cui siamo assolutamente orfani e che accusiamo molto. Ci sono tante buone prassi di accoglienza e integrazione che per fortuna sono esistite, si sono sviluppate e si sono radicate ma non è sufficiente che la politica si appoggi a quello che portano avanti le associazioni, il terzo settore o gli enti e le singole persone.

Per quanto riguarda la sua infanzia, come ha vissuto il trasferimento da Alessandria a Reggio Emilia? Si è sentita accolta o ha riscontrato delle difficoltà a livello di integrazione?

Io sono arrivata in tenera età e ho iniziato a frequentare la scuola d’infanzia qui in Italia. Mi rendo conto che chi arriva dopo fatica molto di più, come un qualsiasi bambino che venga spostato anche solo di città o di regione perdendo il suo contesto amicale o di rete familiare. La fortuna mia e di mio fratello è stata che eravamo molto piccoli e forse è stata la forza che ci ha permesso di diventare subito parte del tessuto socio-culturale della nostra città e di crescere e con i nostri coetanei e con i nostri compagni di scuola. Ho dei bellissimi ricordi, molto teneri e spensierati, dell’infanzia mentre ho ricordi un po’ più resistenti e ostili di quando sono cresciuta e ho scoperto di non avere la cittadinanza italiana. Quando cresci e a 18 anni ti rendi conto che non puoi votare, che non puoi partecipare alla vita politica della tua città e del tuo Paese, che non puoi godere appieno del diritto di mobilità e spostarti in Europa e nel mondo senti l’ingiustizia. Quelle sono ingiustizie che io fin da subito ho vissuto, motivo per cui poi ho iniziato a fare attivismo e mi sono appassionata alla causa.

Comunque la sua lotta contro le ingiustizie sociali è in realtà figlia di un attivismo che coinvolge tutte le sfere e le stratificazioni delle disuguaglianze, come ha dimostrato nel coordinamento a Reggio Emilia della Commissione consiliare “Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali”. A livello istituzionale nazionale crede che la sensibilità sui temi relativi ai diritti umani rispecchi l’impegno civile e le manifestazioni anche giovanili sempre più numerose a riguardo?

Sicuramente i giovani di oggi hanno una grandissima volontà di esprimersi e di comunicare le difficoltà che stiamo vivendo, le sfide e le ansie rispetto a quello che stanno ereditando anche riguardo ai grossi errori che hanno commesso le generazioni precedenti e questo vale moltissimo a livello climatico, per esempio, ma non solo.  Sono reduce da un incontro che ho avuto con la Scuola di politica organizzata nell’ambito delle attività di Partecipazione e formazione politica [delle quali Marwa Mahmoud si occupa per nomina della Segreteria nazionale del PD, ndr]. In questo incontro ho visto come i giovani abbiano una grande voglia di esprimersi, un grande entusiasmo, una grande creatività e modalità differenti di rispondere a livello politico. Questi giovani vogliono però essere ascoltati e valorizzati per quello che dicono e per quello che propongono, non vogliono essere meramente utilizzati come fossero un solo blocco monoculturale, perché pongono delle questioni che ci dovrebbero interpellare profondamente. Nel porci queste questioni usano magari il loro modo di comunicare, i social per esempio, che io trovo estremamente utili per diffondere le loro posizioni, le campagne e le lotte che vogliono portare avanti. Portano avanti dal loro punto di vista i temi che secondo loro non vengono tenuti in grande considerazione: se hai più anni, se non hai vissuto determinate esperienze in effetti è difficile comprendere alcune cose. Questi giovani sono in grado di interrogarci molto sul tema della violenza di genere, sono molto capaci di utilizzare un linguaggio estremamente inclusivo e appropriato, sono molto rispettosi delle differenze altrui. In sostanza credo che ci sia molto da imparare da tantissimi giovani che oggi si affacciano alla politica.

In generale a livello istituzionale percepisco che la nostra classe dirigente politica fatichi ad ascoltarli fino in fondo e a comprendere le loro ragioni nel linguaggio con cui le narrano,  a prendere in considerazione anche la creatività con cui ci pongono i temi a loro modo, con le loro modalità. Bisognerebbe ascoltarli maggiormente anche per praticare o per far sì che loro possano praticare maggiormente la partecipazione alla politica e alle istituzioni. Come classe dirigente non possiamo parlare per loro ma dobbiamo parlare con loro, dobbiamo progettare per i giovani, non per strumentalizzare la loro categoria ma per valorizzare il loro portato, la dimensione in cui possono essere capaci, cosa che molto spesso, ahimè, non trovo nella politica italiana.

In effetti sono famose le scene di alcuni talk show dove giovani attivisti per il clima vengono denigrati in malo modo e trattati quasi con aria di sufficienza, scene dove questi giovani faticavano a spiegare le loro ragioni – fermo restando che ovviamente determinate modalità di protesta possono non guadagnarsi un consenso unanime.  

Una parola che vorrei utilizzare è quella del paternalismo; a volte c’è una forma di mortificazione che porta poi i giovani a non esporsi, a non voler partecipare, a non ripresentarsi, a non crederci più. Il nostro compito è invece quello di animare e rianimare tutte quelle modalità e tutti quegli spazi e quelle forme che possiamo mettere in mano ai giovani che sono una grandissima forza per il nostro paese e per la politica italiana.

Parlando di giovani arriviamo ora al suo ruolo nella Segreteria nazionale del Partito Democratico. È stata nominata Responsabile della Formazione e Partecipazione politica del partito. Come voi stessi avete dichiarato significa rendere consapevoli iscritti e militanti mirando ad «avere una comprensione chiara e completa della struttura, dei processi e della cultura del Partito». Nel concreto come sono organizzati questi momenti di formazione e quanta adesione riescono ad ottenere?

Abbiamo appena concluso una Scuola di formazione politica e di partecipazione in cui hanno partecipato quasi 200 ragazzi e ragazze da tutta Italia, under 35, che sono stati coinvolti e invitati dalle Federazioni provinciali. Questo ha fatto sì che con questo stare insieme riuscissimo a fornire loro delle nozioni e degli strumenti per capire come fare politica a livello locale e soprattutto come condurre una campagna elettorale di prossimità, come gestire a livello di tattica e di strategia una campagna locale e come tenere una buona comunicazione politica. I ragazzi e le ragazze ne sono venuti fuori estremamente entusiasti già solo per il fatto di stare insieme, fare networking e riuscire a unire diverse regioni ritrovandosi attorno ad alcuni valori comuni.  Quello che abbiamo fatto prima di questa grande Scuola di formazione politica è stata una due giorni su emigrazione, cittadinanza e accoglienza a gennaio e dieci incontri con i dirigenti nazionali in cui era possibile condividere dei momenti di approfondimento su alcuni temi quali le comunità energetiche, la difesa del sistema sanitario, l’autonomia differenziata, la politica estera, ecc. In preparazione a questi incontri erano state accolte le esigenze dei giovani attraverso dei questionari dai quali erano emersi bisogni e richieste fra i più disparati, fra i quali la richiesta di un maggiore contatto con la classe dirigente e la conoscenza delle iniziative e delle politiche amministrative e istituzionali. Devo dire che sono soddisfatta di questi risultati, sono stati momenti di grande creatività ed entusiasmo.

L'autore

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Sabia Braccia

Nata a Lanciano (CH) nel 1999 ha vissuto a Urbino e a Parma per laurearsi, rispettivamente, in "Scienze umanistiche. Discipline letterarie, artistiche e filosofiche" e in "Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale". Appassionata di storia, antropologia e ambiente, collabora con vari giornali online, segue un corso di Giornalismo d'inchiesta ambientale e, come volontaria insieme ad un nutrito gruppo di giovani amanti della natura, si occupa della manutenzione e della comunicazione social della Riserva Naturale Regionale Lago di Serranella, una delle oasi WWF d'Abruzzo.