Alcide De Gasperi (1881-1954) e Giuseppe Dossetti (1913-1996) sono davvero due figure decisive per il destino del nostro paese. Furono capaci traghettare l’Italia nel delicatissimo dopoguerra, verso la costruzione della Repubblica e di una strategica alleanza europeista. Due uomini diversi per età, formazione e visione politica. I loro rapporti sempre improntati a una vera stima reciproca, ma non a una “sincronia”. Questo elemento è particolarmente eloquente in un particolare scambio di missive. De Gasperi, rispondendo a una lettera di Dossetti del 22.2.1949, con la quale prendeva le distanze dalla politica estera del Governo, il 5.3.1949 scrive: «[…] Il mio dispiacere per le difficoltà intrinseche di una collaborazione, che sarebbe così augurabile e così feconda è grave come il tuo. Sarei felice se mi riuscisse di scoprire ove si nasconda la molla segreta del tuo microcosmo, per tentare il sincronismo delle nostre energie costruttive. Ma ogni volta che mi pare di esserti venuto incontro, sento che tu mi opponi una resistenza che chiami senso del dovere. E poiché non posso dubitare delle sincerità di questo tuo sentimento, io mi arresto, rassegnato, sulla soglia della tua coscienza» (Dossetti, Scritti politici, p. 231). A ben vedere dunque, al di là delle diverse visioni culturali e politiche, c’è un’incapacità reciproca a entrare sino in fondo nelle proprie concezioni del mondo e nelle loro visioni di “democrazia cristiana”.
La tensione di ricerca
In quegli anni, intorno al trentino De Gasperi si forma una componente di partito più attenta al ruolo del Parlamento, delle relazioni con le altre forze politiche e delle dinamiche di governo. La componente di Dossetti sviluppa una maggiore attenzione alle istanze di rinnovamento della società, a una concezione di partito capace di elaborare programmi di sviluppo del paese. Le due posizioni e le loro divaricazioni sono riconducibili a una diversa base culturale e generazionale (circa trent’anni dividono i due politici). De Gasperi vuole costruire un partito nazionale e popolare, in funzione anti-totalitaria, in cui potesse riconoscersi la maggioranza degli italiani: un nuovo partito “dei” cattolici per alimentare il processo di riconciliazione in un paese diviso da conflitti politici, confessionali e di classe. Si può affermare che De Gasperi è un riformista liberal-democratico, un “moderato creativo” (definizione dello storico Pietro Scoppola).
Per Dossetti invece la DC è lo strumento principale della rappresentanza. Egli propende per una democrazia “sostanziale” e il partito è compreso come il veicolo della volontà del popolo sovrano che viene trasferita, attraverso i gruppi parlamentari, dentro le istituzioni. Il politico emiliano sente il compito di realizzare un forte cambiamento del paradigma del potere, realizzando il progetto politico insito nella parte della Costituzione dedicata alla riforma della struttura sociale ed economica della nazione. Per Dossetti, la strategia degasperiana delle coalizioni con le forze minori di centro, rischia di non adempiere alla missione di costruire una democrazia orientata a favorire i ceti popolari più deboli. Dopo quarant’anni, nel 1991 egli ricorda la “tensione di ricerca” del suo gruppo (la rivista Cronache sociali), stroncata all’interno del partito che ha «fatto precipitare tutto, prima in una piattezza spaventosa, e poi in una decomposizione ideale inevitabile, con la conseguente corruzione morale […] Troncare la tensione di ricerca ha voluto dire togliere il momento unitivo e quindi ridurre la Democrazia cristiana, il partito e tutto il mondo cattolico a una clientela continua» (citazione nel volume Dossetti di F. Mandreoli, p. 33).
I due stili di laicità
Approfondendo il confronto tra il pensiero di De Gasperi e quello di Dossetti, si può parlare di due stili di laicità, piuttosto che di una laicità degasperiana contrapposta all’integralismo dossettiano. Entrambi sono portatori di un modello di partito che si presenta ad ispirazione cristiana e laico. De Gasperi sottolinea il nesso fra cristianesimo e democrazia, con un carattere non confessionale. Dossetti propone il di rapporto fra Stato e Chiesa nel senso di una delimitazione tra sfere di influenza e di garanzia delle laicità dello Stato: «A me pare che per noi cattolici il modo efficace di pensare alla costruzione della casa nuova sia anzitutto partire da questa premessa. Non avere paura dello Stato. La laicità della politica è rivendicata sia in De Gasperi sia in Dossetti. Di fronte alla lettera di papa Pio XII 10.2.1949, De Gasperi rivendica l’autonomia del partito nei confronti dell’Azione cattolica: «[…] la distinzione più ovvia delle funzioni si trova nel criterio della responsabilità. Chi porta la responsabilità della decisione, ha anche la responsabilità dell’azione. L’esigenza suprema è quella della cooperazione e integrazione, pur con distinta responsabilità» (nel testo De Gasperi scrive, a cura di M.R.De Gasperi, Morcelliana 1974 I. 111). Sulla stessa lunghezza d’onda troviamo Dossetti, che nella relazione al convegno del movimento “Civitas Humana”, esprime forti riserve nei confronti di un meccanico passaggio di quadri dall’Azione Cattolica Italiana alla Democrazia Cristiana, rimarcando alcune forme distorte della laicità presenti nell’organizzazione (citazione in Dossetti op.cit. p.53). È opportuno rilevare che, mentre De Gasperi è preoccupato del rapporto con i vertici dell’associazionismo cattolico, Dossetti prende le distanze da ogni commistione fra politica e religione, e specialmente tra azione pastorale cattolica e azione di partito. Alla luce di queste affermazioni, mi sembra fortemente ridimensionato il luogo comune di una laicità di De Gasperi e di un integralismo di Dossetti.
Le ragioni della rottura
Si registra in ogni modo il contrasto di fondo tra i due uomini politici su molti problemi. Nella linea dossettiana occorre inserire nella nuova democrazia le masse attirate dai partiti di sinistra, confidando in un loro successivo consenso a uno Stato democratico capace di realizzare l’uguaglianza e la giustizia sociale (qui si manifestano le simpatie per un partito di stampo laburista)[i]. Invece nella linea degasperiana si palesa il giudizio negativo sulle forze di sinistra, destinate a rimanere estranee allo Stato democratico perché incapaci di accettare il metodo della libertà. Per questo motivo, lo statista trentino ricerca alleanze con i partiti rappresentanti il ceto medio borghese. Questa fedeltà alle coalizioni di centro finisce per intaccare l’immagine programmatica della DC. Si può dire che Il “partito programmatico” auspicato da Dossetti viene sostituito dal “partito di mediazione”, che diventa la prevalente forma-partito. Su questo terreno si prepara la rottura fra De Gasperi e Dossetti. Questa rottura si manifesta in diversi momenti di aspro conflitto tra queste due personalità. Tre sono i più significativi: la scelta del referendum istituzionale, (monarchia o repubblica), la scelta dell’Alleanza atlantica e la politica economica all’inizio degli anni 1950.
Mario Chiaro, vice presidente Istituto De Gasperi
[i] Nel volume Le orme di Dossetti, al capitolo “Dossetti e la Costituzione personalista” di Giuseppe Gilibert si interroga sul “laburismo cristiano” del politico (p.66 ss.). Giliberti rimarca «L’idea che, nel rispetto della proprietà privata e del pluralismo economico sociale, si potesse realizzare un sistema economico capace di coinvolgere capitale, lavoro, Stato e consumatori, era molto diffusa». […] L’ipotesi è che questa linea di pensiero «poteva spingersi fimo a concepire una sorta di “laburismo cristiano” (con Dossetti) e ad auspicare (con Mounier) una forma di “democrazia economica” post-capitalista». Nello scritto dossettiano “Triplice vittoria” apparso su Reggio democratica (31.7.1945), si sottolinea la non incompatibilità fra laburismo inglese e valori religiosi, Il tema è ripreso nell’articolo su “Fede religiosa e idea socialista” (ivi 8.9.1945).
In copertina: riproduzione della copertina di D. Ferrari, G Giliberti, Le orme di Dossetti, Edizioni Intra, 2024)