Valdo Spini, Sul colle più alto. L’elezione del presidente della Repubblica dalle origini a oggi, Solferino, Milano 2022, pp. 256.

L’ampio volume traccia, in un linguaggio chiaro e non tecnico, la storia della nostra massima istituzione repubblicana da De Gasperi e De Nicola fino al primo mandato di Sergio Mattarella. Il punto di vista non è tanto quello dello storico quanto quello del testimone privilegiato. Per gran parte della vicenda narrata, Spini, in quanto esponente di rilievo del PSI e uomo di governo, più volte sottosegretario e ministro, ha avuto rapporti diretti con diversi dei nostri capi di Stato, prima e dopo la loro elezione. Non a caso, le figure che risaltano di più nel testo sono proprio quelle con cui c’è stato un rapporto personale e di cui l’autore ha da raccontare tratti interessanti e non sempre noti.

Fin dall’inizio, Spini chiarisce la ragione di un interesse così spiccato per la figura istituzionale del presidente della Repubblica italiana, di sicuro più centrale di quanto non sia in sistemi di democrazia parlamentare simili al nostro: l’essere un fattore di stabilità in un sistema politico caratterizzato da governi estremamente instabili e da maggioranze parlamentari, almeno nei tempi più recenti, assai variabili. “In qualche modo, quindi, il Presidente della Repubblica italiana e la sua elezione costituiscono un unicum nel quadro generale che caratterizza in Europa e non solo questa istituzione. La saggezza della nostra Costituzione risiede nell’essere abbastanza flessibile da permettere al presidente di svolgere all’occorrenza un ruolo di supplenza nel caso che vi sia difficoltà nella formazione di una maggioranza parlamentare” (pp. 10-11).

L’intento di Spini non è comunque quello di discutere l’istituzione presidenziale in un’ottica di diritto costituzionale o diritto comparato, sebbene non manchino spunti competenti in tal senso, ma di delineare, per ciascun Presidente, una sorta di medaglione biografico contestualizzato nel quadro politico del tempo, con particolare attenzione alle vicende e spesso ai retroscena della sua elezione. Da Sandro Pertini in poi, entra in gioco anche la personale conoscenza dei presidenti e talvolta la diretta collaborazione dell’autore con loro. Questo riguarda, oltre allo stesso Pertini, soprattutto Oscar Luigi Scalfaro (pp. 151-174) e Carlo Azeglio Ciampi (pp. 175-190), ma anche riguardo a una figura controversa come quella di Francesco Cossiga emergono dettagli non banali e non scontati, in particolare il suo interesse per le minoranze religiose (di cui lo stesso Spini, membro di una delle famiglie più illustri del protestantesimo italiano, è notoriamente esponente) (cfr. sp. pp. 140-141).

Manca, e non era del resto nelle intenzioni dell’autore, una riflessione approfondita sul ruolo peculiare che il Presidente della Repubblica, compreso quello attuale nel suo secondo mandato, viene a svolgere di fronte a governi sbilanciati al di fuori del tradizionale “arco costituzionale” e quindi eterogenei o poco sensibili rispetto al complesso di valori su cui la Costituzione è storicamente fondata, segnatamente i governi Berlusconi, il primo governo Conte e lo stesso attuale governo Meloni. Il ruolo istituzionale del Presidente in quanto garante della legalità costituzionale assume in tutti questi casi, talvolta in forma macroscopica e non priva di aspetti conflittuali, una declinazione politica particolare di argine e riequilibrio che talvolta sconfina nel ruolo di una sorta, si potrebbe dire, di capo-ombra dell’opposizione. Un aspetto che ha avuto esiti storici importanti soprattutto nella presidenza di Napolitano e nel ruolo, certo assai in tensione col ruolo istituzionale tradizionale, avuto nella conclusione dell’esperienza di governo di Berlusconi (cfr. tuttavia pp. 197-203).

Molto lucida e sicuramente condivisibile è la comprensione da parte di Spini, fondata del resto su una lunghissima esperienza politica, dell’importanza crescente dell’istituzione presidenziale: “In un sistema istituzionale così complicato e difficile come quello italiano, l’istituto della presidenza della Repubblica si segnala, per una durata certa e sufficientemente lunga, per scrivere una pagina importante della storia d’Italia. I sette anni del mandato presidenziale hanno rappresentato quel momento di stabilità contrapposto al succedersi dei governi che ha talvolta consentito di affrontare con successo difetti organici del nostro sistema politico-istituzionale. Ciò, in particolare, quando agli interventi presidenziali ha corrisposto – requisito essenziale – la capacità del quadro politico-istituzionale di riassestarsi su un nuovo e migliore equilibrio” (p. 234). È la ragione, certamente, della complessiva popolarità e fiducia di cui l’istituzione presidenziale gode in quanto tale, anche al di là della persona stessa che di volta in volta la incarna, in netta controtendenza alla fiducia complessivamente scarsa nella politica e nei partiti. Un tema di importanza centrale su cui riflettere seriamente di fronte ai reiterati tentativi di riformare il quadro costituzionale, col rischio di indebolire pericolosamente uno dei suoi cardini.

Valdo Spini, Sul colle più alto

Nel capitolo finale del libro (pp. 233-243), Spini non si sottrae al rischio inevitabile che corre chi si occupa di stretta contemporaneità: l’impossibilità di prevedere il futuro anche prossimo. Il testo si ferma al primo mandato di Mattarella e non fa i conti con la svolta politica immediatamente successiva. Spini non ne esce male, avendo previsto un secondo mandato dello stesso Mattarella. Ormai ampiamente superata dagli eventi è invece l’altra previsione, di un ruolo politico importante per Mario Draghi, presidenziale o governativo. E forse non sarebbe stato impossibile prevedere che il sistema avrebbe rapidamente espulso un elemento che considerava a sé del tutto estraneo e a cui non aveva mai riconosciuto – forse non del tutto a torto – una vera legittimazione. E neppure, in fondo, sarebbe stato imprevedibile che la cronica instabilità e litigiosità delle forze di centrosinistra avrebbe spinto in direzione dell’avvento del governo più a destra nella vicenda dell’Italia repubblicana. Ma questa è esperienza di oggi e storia di domani.

Resta comunque l’indubbia utilità del testo nel delineare, da un punto di vista insolito, una sintetica e ben leggibile storia dell’Italia repubblicana, molto raccomandabile in particolare a lettori giovani, ma anche per mantenere viva la memoria non sempre solidissima dei più anziani.

L'autore

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Luigi Alfieri

Luigi Alfieri, già ordinario di Filosofia politica all'Università di Urbino.