I portici, i canali, la densa trama  residenziale, le torri, i palazzi, le strade, le piazze formano il mirabile tessuto urbano di Bologna storica.

Le mura contengono questo tessuto e lo delimitano con la loro successione, segnandone lo sviluppo nel tempo. Esse  forniscono la principale chiave di lettura della forma di questo territorio e della storia di questa città. Esse rappresentano da sempre la principale fonte di identità dei suoi cittadini che continuano a localizzare il luoghi in cui vivono o in cui si recano come “dentro e fuori  mura” o “dentro e fuori porta”. Ancora di più nel passato segnavano il confine fra una vita ricca di scambi sociali, di rapporti umani, qualitativamente evoluta e una vita più grama e faticosa aperta ai tanti pericoli del contado.

Esse avevano funzioni militari ma, in maniera sempre più definita, quelle daziarie per le merci che entravano o uscivano; difendevano dall’esterno ma chiudevano anche all’interno affermando, per chi viveva dentro, la necessità del rispetto delle regole comunitarie  e la presenza dell’autorità locale.

Il sistema delle mura di Bologna, le mura di Selenite, la cerchia del Mille e l’ultima cerchia (“ la circla”) del Milletrecento, cui va aggiunto anche l’ottocentesco vallo del Generale Fanti, costituisce un patrimonio importantissimo di cui restano ancora ampie testimonianze. Ma un simile patrimonio, senza la  conoscenza del quale non è possibile leggere l’attuale forma della nostra città,  è nascosto e dimenticato.

Quanti sono i bolognesi che hanno anche la pur minima conoscenza dell’ entità e del valore di questa presenza che hanno sotto gli occhi senza accorgersene? Certamente sono pochi e, sperando di far cosa utile, vale la pena ripercorre la storia delle mura nel tempo.

Dal “castrum” romano

È quasi certo che la prima città romana fosse difesa da fossati, canali, terrapieni e palizzate come lo erano del resto i castrum da cui nasce Bononia nel 189 a. C. Sull’esistenza di tutto questo sistema non restano tracce ma solo ipotesi. Così come è un’ipotesi  che questo sistema di fortificazioni decada di importanza e quindi venga abbandonato nella prima età imperiale a seguito della pacificazione romana di tutti i territori limitrofi.

La Bononia che conosciamo, nel suo assetto di assi ortogonali: i cardi e i decumani, con una superficie di circa 50 ettari e i suoi 20000 abitanti di epoca augustea, si colloca tranquillamente nel suo intorno centuriato e non ha  più bisogno di essere difesa.

È proprio in questo momento che la città ha il massimo sviluppo sia dell’abitato che delle infrastrutture con la realizzazione del grande acquedotto che scende interrato dalla confluenza fra Reno e Setta per circa 20 km.

L’incendio devastante del ’53 d.C., ai tempi di Claudio, è l’occasione per migliorare e rinnovare il vecchio assetto urbano, merito anche del giovane Nerone che ne sostiene la ricostruzione. La città vive di artigianato e agricoltura grazie alle numerose culture del suo agro centuriato con cui strette sono le relazioni e intensi sono gli scambi quotidiani. Un’ efficiente rete viaria favorisce  gli scambi commerciali con Rimini, Piacenza, Aosta, Aquileia, Arezzo e la stessa Roma. Una città dunque sicura che non ha bisogno di difendersi e di proteggersi con mura e cinte.

Ma il lento declino dell’impero romano di occidente modifica radicalmente questa situazione di prosperità portando Bononia, come altre città dell’impero, a ridurre drasticamente la sua espansione urbana, il suo incremento demografico, gli scambi e le attività commerciali.

Pian piano  la città si contrae e perde il controllo sui territori limitrofi che nell’anarchia generale rappresentano sempre di più un pericolo e non una risorsa.

Le mura di selenite

Quando nel 387 Ambrogio, Arcivescovo di Milano sotto la cui autorità cade Bononia, percorre la via Emilia in un viaggio da Pesaro a Milano, definisce le città che incontra lungo il cammino, e per prima proprio Bononia, “semirutarium urbium cadavera” (cadaveri di città semidistrutte)  tanto è il loro stato di abbandono e di degrado. E’ l’epoca,  si dice, in cui lo stesso Sant’Ambrogio pone, nel corso di una sua visita, 4 croci in quattro punti di importanti incroci viari intorno a quel che resta della antica città, a segnare un percorso devozionale a protezione  dell’abitato. Il fatto che con le croci ci si rivolgesse all’universo delle divinità cristiane (Croce dei Santi Apostoli ed Evangelisti, Croce delle Sante Vergini, Croce di Tutti i Santi, Croce dei Santi Martiri)  e non a un solo Santo o solo a Dio, rafforza l’idea del valore propiziatorio globale della loro presenza.

È  a partire da questa tradizione che si vuole che in quel momento Bononia fosse già chiusa in una muraglia, “le mura di selenite”, e che le 4 Croci segnassero appunto un percorso esterno alle mura a protezione delle stesse. Le 4 croci spostate nel 1798 e ora visibili in San Petronio, sono tutte copie datate tra il XII e il XIII secolo, cosa che apre ulteriore incertezza sulla loro stessa datazione originale.

Così come non esistono dati certi che permettano ancora oggi una datazione precisa della costruzione di queste mura che altri collocano all’inizio del V secolo, al tempo dell’imperatore Onorio a seguito della minacciosa presenza dei Visigoti di Alarico in Italia. Un’altra tesi ne colloca la costruzione durante il regno di Teodorico (fine V sec.- inizio VI sec.) quando il re ostrogoto dota di solidi sistemi difensivi le città del suo regno o ancora, più verosimilmente, in età bizantina intorno al 640 al momento dell’invasione longobarda per contrastarne l’avanzata.  Resta poi anche l’ipotesi che un primo baluardo esistesse già all’epoca di Sant’Ambrogio e che poi sia stato ampliato e consolidato nei tempi successivi indicati.

Comunque anche nell’indecisione della datazione è sicuro che a un certo punto Bononia, anzi quel che resta della florida Bononia, sente la necessità, anche per il timore delle sempre più frequenti incursioni barbariche, di chiudersi in un muraglione di grossi blocchi di selenite (varietà di gesso cristallino presente sulle nostre colline) posati a secco, per uno spessore di circa due metri e un’altezza di circa 6/8 metri.

Il perimetro rettangolare di questa muraglia di circa 2 km nella lunghezza maggiore, in un’area compresa fra le attuali via Val D’Aposa, via Carbonesi-Farini, via dei Toschi-Oberdan e via Manzoni, racchiude solo la parte qualitativamente migliore della città romana servita da fognature ed acquedotto e nella quale si trovavano i principali edifici pubblici ancora in uso.

Esso ha  all’inizo 4 porte:  Porta Ravegnana o Porta Ravennate, in quanto posta sulla via Salaria o Salara San Vitale,  Porta Stiera o Porta di San Sotero, Porta di San Procolo o Porta Procola, Porta di San Cassiano, in seguito rinominata Porta Piera o Porta di San Pietro.

Queste  4 denominazioni restano nel tempo a segnare la tradizionale divisione della città in 4 quartieri risalente al secolo XII che permane fino alla fine del ‘700:  Quartiere di Porta Piera, Quartiere di Porta Stiera, Quartiere di Porta Procola, Quartiere di Porta Ravennate.

A queste porte ne vengono aggiunte in seguito altre tre: Porta Nova di Castiglione, Porta Nova, poi probabilmente inglobata nella torre Lapi e Porta di Castello, che dava accesso al castello, sede dell’autorità amministrativa,  nel vertice nord-ovest del rettangolo.

I 2/3 dell’antica Bononia fuori da queste mura vengono abbandonati e diventano un campo di macerie desolate: la “civitas antiqua rupta”.

Delle mura di Selenite restano pochissimi tratti di cui il più conosciuto è quello dentro Casa Conoscenti in via Manzoni che va collegato a quei brani di muratura che si possono vedere all’interno dell’adiacente  museo Civico Medievale. Poi restano tracce sotto il Voltone di Via dei Foscherari e alla base della Torre Uguzzoni in vicolo Mandria oltre a quanto ritrovato nelle fondazioni di alcuni edifici lungo il tracciato a sud come nell’oratorio  dello Spirito Santo o Palazzo Zambeccari in via Carbonesi

L’addizione Longobarda

Nei due secoli successivi la situazione si aggrava fino a quando Bononia  deve far fronte all’arrivo dei Longobardi arroccandosi ulteriormente all’interno della muraglia. Fermata l’avanzata poco ad ovest lungo il corso del Panaro, Bononia resta per 160 anni il centro romano più a ridosso del fronte e vede  intensificarsi gli scambi con Ravenna, capitale dell’Esarcato. Finchè nel 728 Liutprando, re dei Longobardi, occupa la città.

I Longobardi sono ormai un popolo stabilmente radicato in Italia fin dal 568 ed  evoluto socialmente e culturalmente. La conversione al cristianesimo favorisce la loro capacità di integrarsi con la stremata popolazione locale. Stabiliscono la loro sede religiosa e culturale in Santo Stefano e sviluppano un insediamento alla spalle di Porta Ravegnana (“l’addizione longobarda”) con un andamento curvilineo che ancora oggi si ritrova, unico caso nella struttura urbana, nelle strade che si snodano dietro alle due torri: Via Sampieri-Via del Luzzo-Via Castel Tialto, Vicolo Alemagna-via Caldarese.

Anche in questo caso non si hanno però notizie precise sull’insediamento e su un  eventuale sistema difensivo esterno curvilineo. L’assetto a ventaglio  di quella parte di città potrebbe derivare dalla presenza delle strade a raggiera  che già si dipartivano dalla piazza Ravegnana, più che da un impianto volutamente così stabilito dalla presenza longobarda.

La cerchia del Mille o dei Torresotti

Dopo la sconfitta dei Longobardi e la loro cacciata da parte di Carlo Magno nel 774, che assegna Bononia al papato, la città comincia a dare lenti segnali di ricrescita  economica e demografica.

Dopo le devastazioni  delle invasioni degli Ungari negli ultimissimi anni dell’ 800 e la loro tragica distruzione nel 902 della rotonda stefaniana, del Vescovo Petronio, e dei nuovi insediamenti ai margini delle mura di selenite, la città prende ancora più coscienza dell’ importanza di avere solide fortificazioni a difesa dell’abitato.

Ma l’ondata di superstizioso terrore della fine del millennio, causata da racconti popolari basati anche su testi evangelici della vicina fine del mondo con il Giudizio universale, fa abbandonare ogni iniziativa aperta al futuro.

Superato questo momento buio, in tutta Europa si avvertono sintomi di ripresa complessiva che toccano anche Bononia. La città esce dallo stallo in cui si era trovata  negli ultimi secoli e prende ad espandersi al di fuori delle mura di selenite con nuovi borghi che rioccupano gli spazi della “civitas antiqua rupta” per diventare in breve, per la prima volta dopo più di mille anni, più grande di Bononia romana di epoca augustea.

Le esperienze del passato e le nuove prospettive che si aprono col nuovo millennio favoriscono la ripresa  del progetto di una nuova cinta muraria meglio adatta ai nuovi tempi e ai diversi rapporti col territorio esterno che definisca confini più ampi. Ed è così che nel corso dell‘XI secolo inizia l’edificazione di una nuova cerchia, lunga circa 3,5 km con 18 porte (i “torresotti” o anche i “serragli e le “pusterle”), realizzata con muratura a sacco (due cortine di mattoni distanti fra di loro entro cui si gettavano inerti e un legante di malta di cemento o calce) per uno spessore totale di 80/90 cm  più che sufficienti per opporsi alle armi in uso in quel periodo.

La precedente datazione che si dava all’inizio della costruzione di questa cerchia che indicava l’inizio della sua costruzione nella seconda  metà del  XII secolo, dopo il conflitto con Barbarossa, è stata poi confutata da alcune fonti documentarie ritrovate recentemente. Ora è certo che la sua realizzazione inizia nell’ XI sec. e viene completata alla fine del XII sec. quando la città, ormai Comune con una fiorente università (si è stabilito che lo “Studium” sia nato nel 1088) e con le grandi opere avviate nel 1176 con la prima chiusa sul Savena a San Ruffillo, cui seguirà nel secolo successivo la chiusa sul Reno a Casalecchio, per fornire di energia idraulica gli opifici che stanno rapidamente diffondendosi in città.  Queste acque servono pure ad alimentare un fossato che scorre lungo le nuove mura. Quindi la cerchia  esiste già, almeno in parte, quando le prime torri ( la Garisenda e l’Asinelli sono ambedue dei primi due decenni del 1100) sono erette nel centro e viene completata quando la città si è già riempita di molte torri.

Le mura vengono distrutte nel XIV sec. quando la nuova cerchia esterna ne rende inutile l’esitenza. Restano ancora alcuni brevi tratti: quello in Via Maggia, quello in Piazza Verdi alle spalle dell’oratorio di Santa Cecilia e quello in prosecuzione di questo ultimo all’interno delle scuole Zamboni. Restano poi tanti piccoli tratti nelle cantine, negozi e vani al piano terra della case lungo il tracciato ed in particolare in Via Petroni, Piazza Aldrovandi e via Guerrazzi di cui non conosciamo ancora l’effettiva entità.

Pure i torresotti sono quasi tutti distrutti fra il XIV ed il XV sec. tranne quello di Porta Nova, detto anche Voltone di San Francesco o anche Serraglio del Pratello, quello di Porta Govese, detto anche Voltone di Piella o Serraglio dei Piella, quello di Strada San Vitale, detto anche Voltone di San Vitale o Serraglio di San Vitale  e quello di Castiglione, detto anche Serraglio di Castiglione,  che sono tutti ancora visibili. L’ultima porta scomparsa è quella del Poggiale in Via Nazario Sauro distrutta dai bombardamenti aerei del 2  e del 25 settembre 1943.

L’ultima cerchia detta  “Circla”   

La città prospera rapidamente estendendosi con borghi all’esterno delle mura e già all’ inizio del 1200, prima ancora che la prima cerchia sia terminata, comincia a progettare  di costruire un’altra cerchia ancora più grande. Intanto alla fine del secolo si scava, su quello che ne sarà il futuro perimetro, un fossato con una sovrastante palizzata in legno, tant’è che Francesco Petrarca, studente a Bononia fra il 1320 e il 1325 descrive le mura come “steccato sconnesso”.

Solo poi nel 1327 si inizia la realizzazione di quest’opera che viene terminata nel 1390.

Nata con andamento sostanzialmente circolare come la prima cerchia, si allunga invece verso ovest per contenere la chiesa di San Giuliano, importante punto di culto e di accoglienza e ricovero per i pellegrini provenienti dalla Toscana. Così che Leandro Alberti nella sua “Descrizione di tutta l’Italia ed  isole pertinenti ad essa”  del  1577 parla in tal modo: “La città di Bologna solca la bella pianura verde come un’antica nave oneraria che ha la prora rivolta verso la Toscana”. A questa immagine  Andreas Shott, gesuita del ‘500, aggiungerà nel 1594: “con la torre Asinelli che fa da albero maestro”.

Nel XIII secolo Bologna con i suoi 60.000 abitanti è la quinta città europea per popolazione (dopo Cordoba, Parigi, Venezia e Firenze) e le sue prospettive di ulteriore sviluppo sono talmente vive che si decide di costruire i nuovi confini della città con una dimensione ben più ampia di quella immediatamente necessaria. Bologna diventa così una delle più estese città murate d’Europa, con i suoi 380 ettari di superficie urbanizzata che la pongono al secondo posto in Italia dopo Venezia (450 ha), alla pari di Firenze (380 ha) e di gran lunga prima di Milano (264 ha, esclusi i terrapieni entro il Redefosso), Genova (180 ha) e Napoli (165 ha). Questo rappresenta bene le ambizioni che in quel momento la città nutre per il suo futuro.

L’ultima cinta si estende per circa 7,6 km e dispone di dodici porte munite di ponte levatoio per superare il fossato, e di un cassero per ospitare le guardie, oltre ad alcune “posterle” ovvero piccoli varchi più o meno abusivi.

Verso l’interno, ad esse è addossato di tanto in tanto un terrapieno che in alcuni punti si estende per oltre 70 metri verso il centro della città. La mura eseguita secondo l’antica tecnica della muratura a sacco con uno spessore simile a quello della prima cerchia, circa 1 metro,  presenta  in sommità merli e  un cammino di ronda .

Il 24 giugno del 1445, Annibale Bentivoglio, signore  di Bologna, viene attirato in una trappola ordita  dalla famiglia dei Canetoli con l’aiuto di Francesco Ghisilieri e viene assassinato. Canetoli e Ghisilieri vengono trucidati o esiliati dai Bentivoglio e la  porta del Pratello (Porta Peradelli), da cui dovevano  arrivare gli aiuti per i ribelli, viene chiusa e mai più riaperta. Nel 1524 viene edificata nelle vicinanze una nuova porta detta Porta Pia da Papa Pio V  (Papa dal 1566  al 1572)  e poi Sant’Isaia. Si può dire quindi che le porte nel tempo sono state 13 oltre ai varchi che permettono l’entrata dei canali come quello che accedeva al porto del Cavaticcio chiamato la Porta delle Navi.

La città intanto si riempie di torri e di portici, dal momento che un bando del Comune del 1288 stabilisce che tutte le nuove case debbono essere così costruite e che quelle già esistenti che ne sono prive sono tenute ad aggiungerli. Le acque del Savena e del Reno portate in città alimentano una fitta rete di canali a servire i tanti opifici che stanno proliferando.

Con la “circla” terminata, la città assume una “forma urbis” che resterà sostanzialmente immutata fino alla fine dell’ 800 se non fosse per le due appendici extraurbane dei portici che la collegano al Santuario di Santa Maria Lacrimosa degli Alemanni (1619-1631) e al costruendo Santuario di San Luca (1715-1732).

Alla porta Galliera, dove ancora esistono i resti, fra il 1300 ed il 1550 vengono erette cinque rocche papali ogni volta distrutte dal popolo infuriato e poi ricostruite: la prima costruita nel 1327 dal Cardinal Legato Bertrand du Pouget e distrutta nel 1334; la seconda costruita nel 1404 dal Cardinal Legato Baldassarre Costa (Antipapa Giovanni XXIII) e distrutta nel 1411; la terza costruita nel 1414 ancora da Papa Giovanni  XXIII e distrutta nel 1416; la quarta costruita da Papa Eugenio IV nel 1435 e distrutta nel 1443; la quinta costruita nel 1507 da Papa Giulio II e distrutta nel 1511. Nel 1507 Giulio II fortifica la Porta di Strada Maggiore facendo costruire una rocchetta e inglobando il vecchio cassero.

In epoca napoleonica lungo le strade che costeggiano all’esterno le mura, vengono piantati filari di alberi alla moda dei boulevards francesi.

Due delle antiche porte vengono ricostruite nell’Ottocento: nel 1843 Porta Santo Stefano, chiamata in seguito Barriera Gregoriana, e poi nel 1857-1859  la nuova Porta Saragozza completata dall’architetto Giuseppe Mengoni.

All’interno delle mura, fra le arcate che sostengono il cammino di ronda, spesso vicino a una posterla,  la pietà popolare fa sì che il posizionamento di una piccola immagine sacra diventi luogo di preghiera e di devozione. L’immagine viene allora adornata e poi, pian piano, protetta in un’ edicola e nobilitata dalla costruzione di una chiesa o di un oratorio. Intorno si forma una confraternita e l’immagine venerata diventa simbolo della contrada  e della collettività che ivi  vive. Le chiese sulle mura, tutte dedicate al culto mariano, anche se alcune nominate pure a santi, sono 12 e si realizzano nel corso di 3 secoli, a simbolica protezione della città. La prima del Baraccano del 1402 e l’ultima nel 1705 di Santa Maria dell’Ispirazione a Porta  Saragozza dove si ritrovano i ”Sabatini” che settimanalmente si recano in pellegrinaggio alla Madonna di San Luca.

Nel XVI sec. la diffusione della polvere da sparo e le nuove armi di artiglieria rendono obsolete le vecchie mure medioevali e obbligano molte città, non solo italiane, a sostituire le vecchie con nuovi bastioni più solidi e geometricamente più efficaci contro le palle dei cannoni.

Fin dai primi del ‘500 anche Bologna si appresta, su spinta del governo pontificio, a tale opera incaricando Antonio da Sangallo il Giovane di riprogettare le difese e mettere a punto un nuovo sistema bastionato  come si dimostra dai disegni conservati al museo degli Uffizi. L’idea continua ad  essere elaborata anche nel secolo seguente, come si può vedere da alcuni disegni del 1644 depositati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, firmati con l’acronimo GAC (Guido Antonio Costa).

Ma il grande impegno economico che la cosa comporta, vista anche come un’ imposizione del Papa con tutti i conseguenti sacrifici per i cittadini, finisce per far prevalere il principio che meglio è confidare sul valore delle proprie forze armate e sullo spirito unitario e libertario che anima da sempre la città.

E così la “circla” resta con il suo antico carattere e con la sua antica immagine fino ai primi del ‘900.

Dell’eliminazione della “circla” e delle sue porte si inizia a parlare nel primo Piano Regolatore del 1889 ma il loro abbattimento effettivo viene rinviato a data da destinarsi.

La questione torna all’ordine del giorno il 20 agosto 1901, quando  entra in vigore la nuova cinta daziaria, spostata di circa un chilometro dal perimetro delle antiche mura su cui era precedentemente attestata. Si apre allora un grande dibattito cittadino fra chi sostiene la difesa storica e artistica delle mura e chi ne afferma la necessità dell’abbattimento.

A sostegno di questo vengono portate le seguenti ragioni:

  1. Con lo spostamento della cinta daziaria termina la funzione delle vecchie porte medievali e delle mura che già da tempo avevano perso quella militare.
  2. Le mura soffocano lo sviluppo della città e impediscono la circolazione dell’aria togliendo luce e salubrità.
  3. La disoccupazione nel settore edilizio. La crisi nelle Leghe e Cooperative dei muratori e la necessità di dare lavoro anche ad altri disoccupati.
  4. Il grave degrado delle mura e delle porte, con incidenti per crollo di parti, e mancanza di fondi per il restauro.
  5. Le entrate per le casse comunali, dovute alla vendita delle aree di sedime delle mura di proprietà comunale, necessarie per la realizzazione delle opere pubbliche previste dal Piano Regolatore del 1889.

Solo Alfonso Rubbiani esprime fortemente la sua contrarietà per l’abbattimento partendo dalla contestazione dell’assurda “giustificazione igienica” secondo la quale la scomparsa delle mura avrebbe reso più salubre la città e individuando la vera ragione, speculativa, di tutta l’operazione.

Invano il 16 febbraio 1902 pronuncia un appassionato discorso contro le demolizioni in atto presso la Deputazione di Storia Patria, implorando che si interrompa lo scempio, ma non è ascoltato e il voto contrario espresso dalla Deputazione sancisce  la definitiva distruzione della “circla”.

Fra il 1902 ed il 1904 vengono abbattute gran parte delle mura e 2 delle 12 porte, Porta Sant’ Isaia e Porta San Mamolo. Quella  di Strada Maggiore viene riportata alla primitiva forma medioevale attraverso la demolizione della sovrastante magnifica porta del 1770  dell’architetto Gian Giacomo Dotti. Nel 1950 si procede all’ultimo abbattimento dell’avancorpo esterno di Porta San Vitale.

Oggi restano ancora circa 2,7 Km.  di mura e 10 porte.

Da allora nessun altro intervento né di demolizione né di restauro è stato fatto salvo un restauro delle porte superstiti, svolto fra il 2007 e il 2009, con il contributo di un istituto di credito bolognese.

Il vallo del Generale Fanti

Non si tratta di una vera e propria cinta ma di un confine fortificato lungo il quale si attesta approssimativamente nel 1902 la nuova cinta daziaria, di cui si è detto a proposito della demolizione della “circla”.

Dopo la cacciata degli austriaci nel 1859, Bologna acquista un determinante ruolo strategico  e militare trovandosi in prossimità del confine austriaco. Il Generale Manfredo Fanti, al comando della Lega militare, appronta gli studi per la fortificazione di Bologna e Piacenza.

Nel febbraio 1860 in due mesi si realizzano le opere utilizzando 5500 operai precettati anche da fuori Bologna. In pianura si costruisce  un complesso difensivo, provvisto di bocche di fuoco, quasi continuo  dalla  valle del Savena  a quella del Reno, formato da forti, terrapieni e lunette in terra. In collina la difesa è affidata a forti isolati.

Svanito il pericolo di un’immediata  invasione austriaca, negli anni seguenti l’opera viene rinforzata e completata in più punti fino a diventare una piazzaforte permanente mantenuta per tutto l’Ottocento. Con lo scoppio della prima guerra mondiale e l’affermazione dei naturali confini italiani sulle Alpi, il campo trincerato perde valore e significato. Molte delle opere vengono demolite ed alcune postazioni vengono destinate ad altri usi non solo militari.

Oggi resta solo qualche nome: Lunetta Gamberini, Lunetta Mariotti, Forte Bandiera, via dello Spalto, e una serie di caserme in periferia sorte sui terreni dove erano state le postazioni militari.

Un grande progetto di restauro e valorizzazione di quel che resta della terza cerchia del 1300

Dell’ ultima cerchia del 1300 restano dunque, oltre alle 10 porte, circa 2,700 km, che corrisponde al 30% dell’intero perimetro, il che non è certamente poco. Un patrimonio importantissimo lasciato in gran parte al degrado e all’abbandono, che la città ha dimenticato e non conosce.

Arbusti, cespugli, cascate di edera e addirittura piante di “capperi”,  alberature del tutte incongrue casuali  o piantate senza nessun criterio, oltre che a minarne la stabilità e la consistenza, ne impediscono la vista. Quasi nulla segnala la loro presenza ed in particolare la loro continuità. Di notte i resti delle mura scompaiono nel buio dei margini della carreggiata dei viali di circonvallazione. Parti in rovina e campiture coperte da graffiti e scarabocchi le sporcano e le offendono.

Per cancellare questa macchia che pesa da tempo sulla nostra città sono queste le azioni che a mio avviso andrebbero intraprese:

  • Innanzi tutto andrebbe fatto un censimento accurato e completo di quel che resta e del loro stato di conservazione.
  • Andrebbero quindi attivate le indispensabili analisi e ricerche interdisciplinari, a partire dalle indagini archeologiche, che tuttora mancano per avviare un vero restauro conservativo.
  • I resti delle mura andrebbero puliti di tutte le alberature che le coprono e le nascondono e della vegetazione spontanea che le invadono. L’azione andrebbe fatta con grande coraggio e lungimiranza, aspettandosi certamente le reazioni di quanti, in nome di un lecito spirito ecologico che il sottoscritto sente pure proprio, si opporranno. Ma si tratta di rendere visibili e di restituire al pubblico godimento veri monumenti, preziose memorie e gioielli del nostro passato. Si tratta di far capire bene ai cittadini il valore di quanto si va a recuperare e tutti i benefici che ne deriverebbero alla immagine della città sotto tutti i punti di vista compreso quello del richiamo turistico.
  • Un tracciato a terra lungo tutto il perimetro che colleghi i resti alle porte, come è già stato fatto in via dell’Indipendenza alla porta Galliera, permetterebbe di leggerne la continuità.
  • Istallazioni artistiche lungo il tracciato potrebbero ricordarne la storia e l’immagine antica.
  • Una sobria illuminazione notturna ne faciliterebbe  la leggibilità e le valorizzerebbe anche col buio.
  • Infine è indispensabile un’attenta e coordinata progettazione di tutti gli spazi aperti limitrofi al fine di favorire la godibilità non solo visiva di quegli spazi e la loro fruibilità. Un progetto unitario che potrebbe coinvolgere anche quello che resta delle altre mura precedenti, con percorsi di visita e luoghi di sosta in modo che questo patrimonio diventi veramente parte viva e vissuta dello spazio urbano di Bologna.

L’attuale Amministrazione comunale, anche a seguito della mostra che nell’ottobre del 2023 ho curato per conto di Italia Nostra e del Comitato per Bologna Storica e Artistica e col contributo del Comune di Bologna, si è dimostrata sensibile al problema e attenta alla possibilità di affrontarlo.

Le sopravvenute vicende però relative alla torre Garisenda hanno messo in evidenza altre priorità specialmente per i necessari investimenti economici.

Non possiamo che augurarci che, chiuso il capitolo Garisenda, siano le mura a rivestire la prossima priorità per un grande progetto che coinvolga tutta la cittadinanza e che possa diventare un nuovo blasone di cui Bologna possa vantarsi nel prossimo futuro.

Mappa a cura di Pietro Maria Alemagna e del grafico Giorgio Morara.
2023/ Proprietà intellettuale e artistica riservata. È vietata ogni riproduzione anche parziale

 

Breve bibliografia di riferimento:

GIANCARLO ROVERSI – Le  mura perdute. Storia e immagini dell’ultima cerchia fortificata di Bologna – Banca Popolare di Bologna e Ferrara – Grafis Edizioni, Bologna 1985

ANGELO VARNI, a cura di, – I confini perduti. Le cinte murarie cittadine europee tra storia e conservazione – Editrice Compositori, Bologna 2005

BEATRICE BORGHI, ROLANDO DONDARINI – Tra portici, torri e canali – Minerva Edizioni, Bologna 2021

PIETRO MARIA ALEMAGNA, a cura di, – Le mura di Bologna. Un grande patrimonio da conoscere, recuperare e valorizzare – Quaderno per la mostra nella Manica Lunga di Palazzo d’Accursio – Italia Nostra e Comitato BSA, Bologna, ottobre 2023

L'autore

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Pietro Maria Alemagna

Pietro Maria Alemagna, architetto, ex Presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica Emilia-Romagna, è progettista di numerosi interventi, in particolare di edilizia sociale. Già docente universitario ad Algeri e allo IUAV di Venezia, è uno studioso di storia delle trasformazioni urbane di Bologna.