Il 7 ottobre 2023 le Brigate Ezzedin al-Qassam, ala militare di Hamas, hanno lanciato l’Operazione Alluvione Al-Aqsa (dal nome della Moschea di Gerusalemme, terzo Luogo Sacro islamico) per motivazioni territoriali, o religiose? Una prospettiva epistemologica innovativa che distingue due modelli opposti di identità collettiva – rispettivamente glocalista e vestfaliana – può aiutare a comprendere gli eventi in Israele ed a Gaza.

La visione identitaria “vestfaliana” si riferisce a confini territoriali ben definiti per ciascuno  Stato (come quelli tracciati in Europa in occasione della Pace di Westfalia nel 1648, a conclusione della Guerra dei Trent’anni)”, mentre il modello “glocalista” opposto evidenzia al contrario delle comunità all’interno di confini virtuali ideologici, economici, teologici, o spirituali, intra- o trans-territoriali.

La leadership di Hamas, soprattutto da quando ha modificato il proprio Statuto nel 2017, ha progressivamente abbandonato il modello di identità collettiva originario glocalista per avvicinarsi a quello vestfaliano, mirando a creare (art. 20 del citato nuovo Statuto 2017) “uno Stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale lungo le linee [armistiziali [la cd. Linea Verde: ndr] del 4 giugno 1967”.

Il 21 gennaio 2024, Hamas ha pubblicato in 18 pagine il Rapporto La nostra narrativa (Our Narrative), rivendicando ufficialmente che il proprio obiettivo il 7 ottobre scorso fosse di “fermare l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, e porre fine al blocco della Striscia di Gaza”.

Hamas ha negato le accuse di crimini di guerra, come stupri e mutilazioni intenzionali, sostenendo che i propri membri erano “desiderosi di evitare di danneggiare i civili”, e che qualsiasi attacco del genere fosse accidentale.

In realtà Hamas ha la responsabilità morale, giuridica e politica di tutti gli atti di crudele violenza subiti dagli israeliani a seguito da quell’attacco, compresi quelli in cui i propri militanti non sono stati direttamente coinvolti, perché la loro decisione di abbattere la recinzione difensiva che protegge lo Stato di Israele ha facilitato l’ingresso di migliaia di altri palestinesi armati e violenti da Gaza.

Hamas aveva pianificato, anni prima, stupri così orribili e simili violenze inumane e indicibili per diffondere il terrore psicologico, oppure i suoi combattenti hanno trasgredito i loro ordini iniziali?

Nel suo Rapporto, Hamas ha ammesso di aver “commesso degli errori ”, spiegando però l’uccisione di civili innocenti con “il rapido collasso del sistema militare e di sicurezza israeliano,  ed il caos così provocato lungo le zone di confine vicino a Gaza”.

Il citato Rapporto descrive l’attuale guerra come parte di una lotta della nazione palestinese che dura da 105 anni contro il “colonialismo”, 30 anni contro il mandato britannico e 75 anni contro lo Stato di Israele.  “Israele ha distrutto la nostra capacità di creare uno Stato palestinese accelerando il processo di insediamento”, ha detto Hamas, accusando le Nazioni Unite di non essere riuscite a fermare questo processo.  “Dovevamo continuare ad aspettare e a fare affidamento sulle impotenti istituzioni delle Nazioni Unite?”  chiedeva il documento.

Dopo il 7 ottobre 2023 il primo ministro israeliano glocalista Benjamin Netanyahu ha dichiarato quella che ha definito una “giusta guerra contro i mostri di Hamas”, paragonando le loro azioni brutali a quelle dello Stato islamico (Isis/Daesh): “Hamas è Isis”.  Le due organizzazioni, in realtà sono abbastanza diverse tra loro.

L’Isis è composto principalmente da combattenti iracheni e siriani, o provenienti da altre aree del mondo (Europa, Asia, Nord Africa), mentre Hamas ha esclusivamente membri palestinesi.  Gli attacchi di Hamas sono diretti contro obiettivi israeliani.  L’Isis, al contrario, ha dichiarato obiettivi religiosi, poiché la propria propaganda si rivolge all’intera comunità musulmana sparsa nel mondo, incitandola a combattere contro gli “infedeli” e a compiere attentati in Europa o in altri paesi.

Queste differenze significative, alla luce della suddetta metodologia epistemologica vestfaliana/glocalista, aiutano a capire perché lo Stato Islamico glocalista ha perpetrato il 3 gennaio 2024 un efferato attentato suicida lungo il percorso commemorativo per l’assassinio (ordinato dall’ex presidente glocalista americano Trump) del vestfaliano Qasem Soleimani nella città di Kerman, in Iran, rivendicando l’attacco attraverso i propri social network.

Gli eventi verificatisi in Iran nel corso di quasi mezzo secolo dalla morte del glocalista Ayatollah Khomeyni possono spiegare questo attacco dell’Isis. L’attuale presidente iraniano Ebraim Raisi ha sostanzialmente seguito la politica vestfaliana del suo predecessore Hassan Rouhani (Presidente dal 2013), cercando di rilanciare il Piano d’azione globale congiunto (JCPOA). Questo trattato era l’accordo sul nucleare firmato nel 2015 con il presidente vestfaliano degli Stati Uniti Obama, che interrompeva decenni di tensioni sul controverso programma nucleare iraniano, ma che poi il presidente glocalista americano Donald Trump ha boicottato e cancellato nel 2018. Inoltre, su suggerimento del leader cinese vestfaliano Xi e col tacito assenso di Biden, l’attuale governo iraniano ha preso la storica decisione di normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita sunnita, che ha aderito con l’Iran al Gruppo (vestfaliano) dei paesi BRICS.

L’Isis, al contrario, segue il modello glocalista transfrontaliero. Il suo portavoce Mujahid Abu Hudhayfah Al-Ansari, invitando i musulmani a eliminare gli ebrei in tutto il mondo, ha accusato Hamas di non aver stabilito il dominio islamico, o il sistema giuridico della Sharia, a Gaza.  Secondo lo Stato Islamico glocalista, Hamas vestfaliano ha impedito in ogni modo la possibile l’islamizzazione di Gaza: “Hamas non è un partito degno di guidare Gaza, e nelle cui file i musulmani di Gaza dovrebbero combattere”, ha detto Al-Ansari.

Inoltre, il portavoce dell’Isis ha sottolineato che con Israele c’è innanzitutto una guerra di religione, mentre gli obiettivi di Hamas sono “la liberazione della patria, il patriottismo e il rafforzamento del proprio potere, per questo credono che il sangue debba essere versato”. Accusando Hamas di essere il ‘guardiano dell’Iran’, Al-Ansari ha invitato i combattenti di Gaza a “combattere gli ebrei come Allah ha ordinato e per ciò che Allah ha stabilito (cioè il dominio islamico e il sistema della Sharia), e non per le istituzioni del paese (cioè il patriottismo e la  dominio di Hamas): governare secondo le leggi stabilite dall’alto da Allah e non secondo leggi inventate dagli uomini”.

Qualunque sarà l’esito della guerra il ciclo storico vestfaliano  mondiale in corso prospetta nuovi scenari, con un cambiamento radicale nella leadership delle due parti in conflitto.

Sul fronte israeliano migliaia di cittadini in diverse manifestazioni sempre più affollate – dentro e fuori Israele – chiedono a gran voce le dimissioni del primo ministro Netanyahu. In occasione della più recente ed imponente, domenica 30 marzo 2024, gli oltre centomila israeliani in protesta, inclusi parenti degli ostaggi e delle vittime della guerra in corso, si sono mossi dalla ribattezzata Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv fino a Gerusalemme, dove cantando l’inno nazionale hanno eretto delle tende davanti al Parlamento israeliano, con l’intenzione di mantenere il presidio di protesta fino al recesso primaverile della Knesset, programmato sei mesi dopo il 7 ottobre.

Da parte palestinese, giovedì 28 marzo 2024 l’ottantottuagenario Presidente glocalista dell’Autorità Palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) ha nominato Mohammed Mustafa nuovo Primo Ministro. Ma secondo tutti i sondaggi degli ultimi anni la stragrande maggioranza dei residenti in Cisgiordania e Gaza, che attendono di poter esprimere democraticamente il proprio voto da oltre vent’anni, chiede in massa le dimissioni di Abu Mazen.

In questo contesto, l’obbiettivo strategico dell’attacco di Hamas del 7 ottobre era di liberare Marwan Barghouti, il leader nazionale vestfaliano palestinese carismatico della prima e della seconda Intifada, detenuto nelle carceri israeliane da 21 anni, apparentemente l’unico in grado di agire come un intermediario per raggiungere la pace e guidare i palestinesi uniti dopo la fine della guerra, facilitando così la soluzione vestfaliana di pace dei due Stati per i due popoli in conflitto.

L'autore

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Enrico Molinaro

Enrico Molinaro, Ph.D., studioso multidisciplinare delle identità collettive e dei Luoghi Santi di Gerusalemme, è Coordinatore nazionale della Fondazione Anna Lindh in Italia e Presidente di Prospettive Mediterranee.