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Scuola: Nuove indicazioni. Per andare dove?

Questo articolo è dedicato, con sentita gratitudine, a

Giancarlo Cerini, Tullio De Mauro, Luigi Berlinguer

tra i collaboratori e redattori

 delle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012.

La lettura delle “nuove indicazioni” che lo scorso 21 marzo il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha inviato alle Istituzioni scolastiche per una consultazione di prassi, è un percorso ad ostacoli per chi, sul principio di diritto all’educazione, ha inteso attuare, fino ad oggi, una Scuola inclusiva, pluralista, autonoma.

Nella lettura del documento di (presunta) Riforma il pensiero urta contro paradigmi anacronistici della scuola e della cultura: la visione centralistica, il fondamento nazionalistico e “occidentale”, la riduzione dei fenomeni alla linearità della causa-effetto, l’appropriazione degli spazi di autonomia scolastica per la elaborazione del curricolo, oggi affidato alla progettualità dei docenti nell’orizzonte dei traguardi nazionali di sviluppo delle competenze e in relazione alle caratteristiche dei singoli contesti. Nello stile che richiama le ‘guide didattiche’, con gli “esempi di moduli interdisciplinari” e l’elenco degli “obiettivi generali e specifici” da perseguire, il legislatore impone i contenuti di conoscenza, mettendo in ombra la più complessa formazione di competenze, come le Indicazioni nazionali del 2012, ci avevano mostrato.

La lezione dei Maestri, che quel documento avevano collaborato a redigere, è surclassata da dichiarazioni prive di direzioni progettuali e intessute di vecchie ideologie, coerentemente espresse con una sintassi retorica, oltretutto scritta male.

Alcuni esempi per nuclei tematici, apparsi a chi scrive più rilevanti.

La scuola dei bambini. Le finalità della scuola dell’infanzia non comprendono più le prime esperienze di cittadinanza. I bambini e le bambine da 3 a 6 anni tornano a essere soggetti di una non precisata “educazione liberatrice”, in spazi di gioco visto come “deterrente nei confronti di un uso smodato e troppo prolungato delle nuove tecnologie”. Fanno pensare “la visione concreta di infanzia”, quasi ad oggi avessimo pensato un bambino disincarnato e la tradizione pedagogica cui riferirci, che cita Comenio e ignora Malaguzzi, Don Milani e Rodari.

L’educazione alla libertà. Nel capitolo ‘Libertà, cura di sé ed etica del rispetto’ si dice: “l’educazione alla libertà non è sviluppo dello studente nella libertà, ma sviluppo della libertà nello studente”. Come dire che il con-te-sto non ha valore nel processo educativo. Quindi sorge spontanea la domanda: a quale libertà si allude? Se il contesto non ha valore riconosciuto per l’educazione alla libertà, chi o che cosa educa tale capacità? E ancora: è possibile educare alla libertà al di fuori di un contesto di relazioni plurime?

Quale scuola. Nelle finalità della scuola si allude spesso allo sviluppo del “senso morale” del “senso del limite”, dell’“etica del rispetto” e, per par condicio, ai sentimenti di “solidarietà” e “fraternità”. Troviamo pure la “comprensione del senso di autorità”, ma sfugge, sostanzialmente, il concetto di Scuola come risposta al diritto all’educazione e alla cura di ogni persona.  

La cultura educativa. La progettazione dell’ambiente di apprendimento è ridotta a “formule organizzative”, “allenamento all’autogoverno…”, “stimoli” e “stimolazioni” di pavloviana memoria, che richiamano il vecchio comportamentismo, incuranti (o ignoranti?) il costruttivismo del pensiero e la psicologia culturale con cui la migliore Scuola ha dato forma ai processi educativi.

La Storia. Gli ostacoli del pensiero cui alludevo all’inizio, trovano l’abisso nella Storia e nella gerarchizzazione delle culture, soprattutto laddove la “cultura occidentale” si dice essersi fatta “intellettualmente padrona del mondo” con una speciale ”disposizione d’animo” e strumenti di indagine atti a comprendere eventi e ragioni degli stessi. Evidentemente alle culture subalterne questa disposizione è mancata, se non hanno scientemente costruito i lager.

L’Europa.  L’Europa resta sullo sfondo opaco del documento come continente storico-geografico da studiare. Solo un breve accenno, in premessa, alle competenze del cittadino europeo delineate nelle Raccomandazioni del 2018, con l’immediata precisazione che “l’impegno a far conseguire tali competenze a tutti e i cittadini europei di qualsiasi età […] non implica da parte degli Stati aderenti all’Unione europea l’adozione di ordinamenti e curricoli scolastici conformi ad uno stesso modello”. Ciò è vero, ma nel contesto generale sembra una presa di distanza da presunte, possibili e feconde ‘contaminazioni’ con l’esperienza educativa di altri Paesi europei.

I talenti. È costante il richiamo a “stimolare”, “sviluppare”, “riconoscere”, “scoprire” i talenti personali degli studenti. Una indicazione inedita rispetto al documento del 2012, ma poiché le parole sono prolungamento del pensiero, occorre domandarsi quali ragioni muovono tanta insistenza. Forse che il vecchio innatismo torna a fare capolino, nobilitato dall’educazione che potenzia le naturali disposizioni? Se così fosse, che cosa accade a chi non ha talento? È forse preferibile una scuola che promuove competenze, piuttosto che talenti? Le domande meritano ulteriori e più approfondite analisi e riflessioni.

La famiglia. In apertura del documento la Famiglia sostituisce la Cultura, che nelle Indicazioni precedenti rappresentava il contesto più ampio di vita della Persona.  Nel nuovo testo lo sviluppo si restringe all’interno della Scuola e della Famiglia, di cui si ribadisce insistentemente la collaborazione e la corresponsabilità educativa, con l’istruzione in capo alla Scuola, spogliata della sua finalità prettamente educativa (vale ricordare l’insegnare con le discipline e non le discipline…).

La visione. Sparisce la visione di Scuola come “fattore decisivo di sviluppo e innovazione” all’interno del più ampio sistema socio-culturale (Indicazioni nazionali, 2012). A parte il dialogo con la famiglia, esercitato attraverso il ‘patto di corresponsabilità educativa’, la scuola appare nelle Nuove Indicazioni ripiegata su se stessa, intenta a riscoprire le pratiche di scrittura manuale, la riflessione linguistica ridotta alla corretta applicazione delle regole di grammatica, l’esercizio del riassunto come pratica addestrativa, il buon latino come opportunità di ragionamento, quasi che le altre lingue non creassero la stessa opportunità educativa. 

È palpabile, in tutto il documento, una tensione che vuole costruire il futuro guardando al passato, usando giustapposizioni di parole ammantate di buoni sentimenti e di retorico civismo, piuttosto che nuclei discorsivi da cui fare emergere domande per costruire risposte insieme. Forse l’intento è suscitare il consenso di tante scuole ancorate alla pigra burocrazia e non, invece, muovere la partecipazione vitale per il complesso lavoro di progettazione educativa. 

Concludendo, credo sia doveroso fare una riflessione su come la Scuola accoglie le istanze di cambiamento, qualunque sia la proposta. Forse le Nuove Indicazioni seguiranno il destino delle precedenti (nel confronto più evolute sotto ogni profilo), restando lettera morta nell’apatica autoreferenzialità di tanta Scuola. Nella prospettiva attuale potrebbe essere il male minore, ma resta il problema di fondo della debole capacità progettuale di tanti dirigenti scolastici, docenti, genitori, che rende fragile il nostro sistema educativo.

Professionalità luminose, che pure ci sono, non bastano per costruire identità, progetto e visione, che facciano della Scuola “il fattore decisivo di sviluppo e innovazione”, come le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012, opportunamente integrate nel 2018 dai Nuovi scenari, avevano prospettato, con un’idea di curricolo fulcro della ricerca didattico-educativa.

Scuola: Nuove indicazioni. Per andare dove? | Lab Politiche e Culture