“State attenti: la nave è ormai in mano al cuoco di bordo, e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani”

(Søren Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita)

Lo si gridava in tanti negli anni settanta ed ottanta, non solo in Italia: Yankee go home! Via la NATO dall’Italia! Ora questa istanza, da rivendicazione, è diventata una minaccia. Se Donald Trump dovesse tornare alla Casa Bianca e mantenere poi la sua promessa elettorale di ritirare gli USA dall’Europa, gli yankees will come back home!

In realtà per ora questi di Trump sembrano più avvertimenti  che non una prospettiva concreta. E non solo perché non è detto che il tycoon vincerà le elezioni. Ma, quand’anche fosse, siamo proprio sicuri che il suo stesso establishment non capisca il rischio enorme per gli USA della potenziale formazione di uno spazio comune, economico e politico, tra Europa Occidentale e Russia?

Anni fa (inizio dell’era di Putin al Cremlino), UE e Russia avevano addirittura avviato colloqui per verificare la possibilità di un’eventuale adesione della Russia all’Unione Europea. Furono gli USA ad attivarsi per scongiurare ogni avvicinamento tra Ovest ed Est Europa, frapponendo ostacoli di ogni sorta. Uno spazio economico  e politico comune da Gibilterra a Vladivostok è un rischio enorme per gli USA.

Poi la follia neo-zarista di Putin, che prima ha fomentato i russofoni d’Ucraina, poi ha invaso quello che ritiene essere il suo ‘giardino’, e infine ha rotto i ponti con l’Occidente consegnandosi a Xi Jinping, ha chiuso ogni discorso. Lo scenario però cambierebbe rapidamente qualora gli USA, soci di maggioranza della NATO, si disimpegnassero davvero dalla scena europea, a cominciare dall’Ucraina. Sciaguratamente non è improbabile. E Putin già sente odore di sangue europeo. Ogni giorno alza il tiro, minaccia, promette tragedie. Il rischio di una guerra diretta tra NATO e Russia, anticamera della Terza Guerra Mondiale, è dietro l’angolo. Un qualsiasi piccolo incidente può provocarla.

Il missile lanciato su Odessa lo scorso 5 marzo,  mentre era in corso la visita alla città del Presidente ucraino Volodymyr Zelenskij con il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis, è caduto a poche centiania di metri dal corteo dei due statisti. E se avesse ucciso non solo Zelenskji, ma anche Mitsotakis? La Grecia è membro della NATO e Putin sembra ormai privo di ogni controllo.

L’Europa è minacciata. Sotto tiro. Non è una metafora, lo sono le nostre case, le nostre infrastrutture, i nostri giovani, il nostro welfare, il nostro stile di vita. Rischiamo di essere stretti in una tenaglia. Da una parte gli USA, che potrebbero defilarsi, nel contempo agendo per lo smembramento dell’UE – lo abbiamo già visto col primo Trump – dall’altra la Russia che fa pressione ai confini orientali. E con il ringalluzzito fondamentalismo islamico già nelle nostre mura.

Le istituzioni europee del prossimo quinquennio saranno perciò chiamate a fronteggiare questo eventuale nuovo scenario. Oltre che quello attuale, già di per sé più che inquietante, con un conflitto devastante nel cuore del continente ed uno nel vicino Medio Oriente che rischia di coinvolgerci direttamente.

Fino a cinque anni fa – elezioni del 2019 – la politica estera dell’UE non era tra le preoccupazioni rilevanti degli elettori. Lo sguardo era tutto rivolto all’interno: Europa dei Popoli o delle Nazioni; rapporto con le potenti corporazioni; politiche fiscali, economiche e finanziarie; coesione e convergenza tra i vari Stati membri con le relative spinte centrifughe; poteri della burocrazia e vincoli giuridici. L’incolore immagine dell’Alto Rappresentante dell’Unione era il simbolo dell’inconsistenza della politica estera dell’UE.

Poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, la pressione dei migranti ai confini dell’Unione, i complicati rapporti con la Cina, le minacce di apertura di un nuovo conflitto nei Balcani, il 7 ottobre ‘23 in Israele e la rabbiosa risposta di Netanhyau, infine le tensioni nel Mar Rosso con le minacce dirette all’Italia da parte degli Houti dello Yemen, hanno svegliato anche gli spiriti più sopiti. Ci si interroga quindi sull’esigenza – imprenscindibile o meno – di una maggiore coesione dell’UE nella gestione dei rapporti internazionali.

Pace o guerra, azione preminentemente diplomatica o sostegno diretto ai popoli alleati anche con la fornitura di armi, formazione di  forze armate europee – senza di cui non ci potrà mai essere una politica estera autonoma dell’UE – con conseguenti costi, o ciascuno per proprio conto? Questi, grosso modo, gli interrogativi ai quali dovremo rispondere nella nostra coscienza e col nostro voto a giugno.

Ci pensi bene ciascuno di noi, prima di decidere se impegnarsi o no in questa campagna elettorale e come votare a giugno. Settant’anni di pace nel continente e la stessa UE in quanto tale – dove si è avverata la piattaforma di diritti civili, politici e sociali più avanzata che mai l’umanità abbia conosciuto, pur con le sue contraddizioni –  non si possono, non si devono  buttare a mare a cuor leggero. In  gioco ci sono le nostre libertà, il nostro Welfare, la pace.

In copertina: A. M. Hoch, Figura con uccelli, olio su carta (1985)

L'autore

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Luigi Gravagnuolo

Luigi Gravagnuolo, n. 1951, è stato giornalista direttore della Radio Tv Salerno Sera, insegnante, docente presso l'UNISA negli anni novanta, comunicatore d'impresa e per Enti pubblici, direttore generale dei Comuni di Baronissi e di Salerno, sindaco di Cava de' Tirreni. Oggi è notista per diverse testate online, tra le quali genteeterritorio.it