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Internati italiani: un’altra forma di Resistenza

Dall’oblìo, durato decenni, alla Giornata dedicata all’unanimità dal Parlamento italiano, a partire dal prossimo 20 settembre; dal riconoscimento della loro “Resistenza senza armi” alla memoria del loro contributo alla Liberazione. Questo il cammino, lungo ed accidentato, fatto dal dopoguerra ad oggi da tanti militari (IMI) e civili internati nei lager nazisti europei dal 1943 al 1945.

Un percorso indubbiamente difficile, che ha costretto molti ad un mesto silenzio dopo il ritorno a casa. Chi non ricorda la famosa commedia di Eduardo De Filippo “Napoli milionaria”, in cui il protagonista, giunto dalla Germania, dopo la guerra, non riesce a raccontare ai congiunti i sacrifici da lui fatti durante la prigionia?

 L’ho sperimentato anch’io personalmente con mio suocero e ne ha scritto, in modo breve ma significativo, un amico bibliotecario abituato a saper leggere anche documenti burocratici, come il “foglio matricolare” del padre ex internato (A. BORRELLI, Il silenzio di mio padre, Dante &Descartes, Napoli 2010). Un silenzio perfino editoriale, come quello che toccò ad un autorevole esponente del PCI, Alessandro Natta, il quale, da giovane ufficiale, era stato internato nei lager nazisti. Negli anni Cinquanta si vide negare dagli Editori Riuniti, casa editrice legata al suo partito (in quegli anni il PCI era più attento a valorizzare esclusivamente esperienza, ruolo e contributo dei partigiani), la pubblicazione del racconto di quella tragica esperienza e del significato politico connesso. Per poterlo fare Natta dovette aspettare diversi anni ed affidarsi ad Einaudi (A. NATTA, L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania, ultima edizione:Torino 1997). Un testo prezioso che si aggiunse ai tanti altri nel frattempo pubblicati, specialmente nel Nord. Tutti, insieme con altre preziose testimonianze, puntualmente segnalati dalla rivista Liberi, organo dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari. La sede è a Roma, in via Labicana 15, ove è stato allestito un interessante (per familiari, docenti, studenti, studiosi…) Museo degli IMI, visitato di recente anche dal Presidente della Repubblica Mattarella, in occasione dell’inaugurazione, il 31 gennaio scorso, della Biblioteca intitolata a V. E. Giuntella ed E. Zampetti, internati militari italiani.

Ormai in Italia anche gli ultimi protagonisti e testimoni dei dolorosi e tristi eventi seguiti all’8 settembre del 1943 vanno scomparendo. E non sappiamo quanti siano morti a seguito di infezione per Coronavirus. Per non disperderne la memoria oggi è ancor più che mai necessario continuare a raccogliere e far conoscere documenti, lettere, diari e testimonianze, anche orali, raccolte e trascritte. Conosciamo tutti, del resto, l’importanza di queste preziose testimonianze in campo storico e storiografico[1]. Ed anche didattico[2].

In verità esse meriterebbero, particolarmente nel Sud, di essere messe insieme e conservate, così come avviene nel Nord grazieall’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano, che ogni anno indice perfino un concorso per premiare con la pubblicazione, tra i vari materiali pervenuti, un diario inedito[3].

Un’odissea anche il ritorno a casa

Qualche anno fa l’idea di Raffaele Luise, ingegnere di Castellammare di Stabia, di pubblicare a puntate, a marzo 2020, su Facebook, il Racconto-diario di mio padre sulla sua deportazione in Austria nel settembre 1943, mi ha spinto a riunire e pubblicare,  nel settembre 2022, con la lungimirante casa editrice napoletana La Valle del Tempo, testimonianze di vari internati campani e in particolare le lunghe peripezie – le stesse raccontate da Primo Levi ne “La tregua”[4] – del soldato napoletano Michele Arcopinto per tornare a casa[5].

Peripezie che, in modi e forme diverse, hanno riguardato migliaia di soldati e civili  liberati dai lager con l’arrivo degli Alleati, a partire dal 27 gennaio 1945. E che per fortuna hanno spinto anche altri – figli, nipoti, cognati, parenti o amici – a pubblicare ricordi e memorie, rimasti talvolta per anni nei cassetti, sottolineando tuttavia sempre la “scelta antifascista” fatta dagli internati nei lager.

E’ il caso, per fare solo qualche esempio, del libro di Silvia Pascale e Orlando Materassi, significativamente intitolato INTERNATI MILITARI ITALIANI. Una scelta antifascista. Editoriale Programma, (s.l.) 2022, che ha avuto la fortuna di essere distribuito in tutta Italia unitamente al quotidiano La Stampa. “Il 27 di gennaio si ricordano tutte le vittime della follia nazifascista, tra queste gli Internati Militari  Italiani. Gli IMI rappresentano – si legge sulla retrocopertina  – la prima forma di Resistenza, decisiva per le sorti del Paese: i militari catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 rifiutarono l’onta di servire sotto la bandiera di Salò e dell’esercito occupante e preferirono l’internamento nei campi di prigionia nazisti. Seicentocinquantamila: un numero imponente che fa riflettere sulla decisa prevalenza del senso di onor di Patria rispetto al fascismo fra gli appartenenti alle Forze Armate… Un  “no” pronunciato da militari di ogni arma, grado e categoria. Una pagina di storia, ancora poco conosciuta, che non compare nei libri di testo scolastici, su cui è calato il silenzio per moltissimi anni”.

E’ il caso anche del ben documentato libro di Nicola Labanca Prigionieri, internati, resistenti. Memorie dell’”altra Resistenza”, pure apparso nel 2022, editore Laterza[6].

In verità i tedeschi, dopo l’8 settembre 1943, catturarono oltre un milione di militari italiani, su un totale di circa due milioni effettivamene sotto le armi. Al netto delle vittime, dei fuggiaschi e degli aderenti della prima ora alla Repubblica Sociale di Salò (RSI), vennero quindi deportati nei campi di concentramento del Terzo Reich circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI, cioè di Militare Italiano Internato[7], cui vanno aggiunte le migliaia di civili “rastrellati” e condotti nei lager per il cosiddetto “lavoro coatto”. Di conseguenza e  giustamente, considerando queste cifre, è stato calcolato che quasi ogni famiglia italiana, negli anni 1943-1945, aveva un parente o un conoscente, militare o civile, internato nei lager. Ma, come si è accennato, gli interessati si sono finora lamentati di essere stati “Dimenticati dalla Patria” e di sentirsi “un gregge senza nome” (Avagliano-Palmieri), benché già la legge n. 211 del 20 luglio 2000, tra le varie tipologie di deportati da onorare ogni anno nella Giornata della memoria del 27 gennaio, includesse anche i  militari e civili (“rastrellati” e lavoratori volontari) e prevedesse la consegna di speciali riconoscimenti agli internati superstiti o ai familiari.

Negli ultimi anni maggiore attenzione per la “Resistenza senz’armi” degli IMI

In realtà – dopo anni che queste vicende ed i suoi protagonisti venivano guardate  anche a sinistra e dalla stessa Associazione dei Partigiani, con distacco se non sufficienza  –  una svolta significativa nell’attenzione alle problematiche degli IMI e nel riconoscimento del loro ruolo nella “Resistenza senza armi” si è registrata in occasione dell’80° anniversario dei tragici eventi che caratterizzarono il dopo 8 settembre 1943. Probabilmente è stato efficace il monito allora lanciato dalla senatrice Luciana Segre: “la memoria di ciò che è accaduto nei lager nazisti ha bisogno di costante manutenzione”!

Segno di questa mutata attenzione sono alcuni articoli apparsi su quotidiani nazionali di larga diffusione. Il primo su “Repubblica” il 3 luglio 2023 a firma di Angelo Melone, emblematico fin dall’occhiello: “La Resistenza dimenticata”. Il titolo – Papà e gli altri. I soldati italiani internati nei lager per un no a Hitler – ben riassumeva tante altre vicende analoghe a quelle vissute dal padre dell’attore (e medico) Andrea Satta e in Italia oggettto di scarsa attenzione e considerazione. E sempre su “Repubblica”, Luciano Zani,  professore emerito di storia contemporanea alla Sapienza di Roma, ne spiegò, poco dopo, i motivi in un’intervista concessa a Concetto Vecchio intitolata  I militari che dissero no al duce.

Quasi a ruota, non a caso, anche il “Corriere della Sera” il 27 agosto si occupò “degli internati e le loro sofferenze” (occhiello) con un articolo a tutta pagina – La Resistenza disarmata. Il coraggio dei militari prigionieri dei nazisti che rifiutarono di aderire a Salò – firmato da Gian Antonio Stella, il quale prese spunto dall’uscita prossima del libro di Mimmo Franzinelli Schiavi di Hitler (Mondadori) [8].

Da segnalare anche,  in occasione dell’Ottantesimo anniversario dell’8 settembre 1943, un intero numero della rivista “Liberi” dedicato a I militari nella Resistenza. La Guerra di Liberazione delle Forze armate regolari e la Resistenza senz’armi degli Internati Mililitari. 1943-1945[9].

Un’altra testimonianza del mutato interesse verso gli Internati militari italiani, a mio parere, è stata, ad inizio 2025, la pubblicazione  per i tipi di Bollati Boringhieri di un ricco ed  ampio saggio (207 pagine) di Andrea Parodi Il coraggio dell’indignazione. I 44 ufficiali italiani che dissero no ai nazisti, un lavoro apparso originariamente nel 2016 e allora pubblicato da Ugo Mursia Editore. Questa volta l’autore ha arricchito il capitolo dedicato agli IMI in generale con un prezioso elenco di Fonti orali e scritte e con una vasta bibliografia. Al punto da far scrivere, nella Prefazione, al giornalista Aldo Cazzullo – da tempo attento a questa problematica, anche nella rubrica delle lettere al “Corriere della Sera”- “ Per fortuna arriva il libro di Andrea Parodi. A rendere giustizia agli internati militari in Germania. E in particolare ad un gruppo finora sconosciuto… Andrea Parodi li ha sottratti all’oblio, raccontando in questo indispensabile libro una pagina di coraggio umano e di riscossa nazionale”[10].

Nel 2025 il Parlamento istituisce la “Giornata degli internati italiani” (anche civili)

Sicuramente i libri e gli articoli qui citati, ma anche tanti altri non citati, come pure le numerose manifestazioni, le presentazioni di “diari” e di altre testimonianze (talvolta organizzate insieme con l’ANPI)  hanno contribuito in questi ultimi anni a far cambiare l’atteggiamento della grande stampa e della stessa tv sul problema degli IMI e, di conseguenza, anche dell’opinione pubblica e dei suoi rappresentanti istituzionali nel Parlamento italiano. Forse anche perché alcuni loro autorevoli esponenti, che hanno contribuito  all’approvazione definitiva della legge n. 6 del 13 gennaio 2025, che ha istituito la “Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale”, hanno sperimentato in famiglia le vicissitudini degli internati, come nel caso dell’attuale vicepresidente della Camera dei deputati on. Sergio Costa (5 Stelle) e dell’on. Maria Elena Boschi (Italia Viva).

Per sua stessa ammissione l’autore della proposta di legge, l’on. Giorgio Mulè (F.I.), ha riconosciuto che l’ispirazione ad occuparsene gli è venuta da un richiamo fatto dal Presidente della Repubblica in occasione della Giornata della memoria del 2020. In quell’occasione Mattarella rivolse “un pensiero riconoscente alla memoria di tutti i militari italiani deportati nei lager nazisti, per il loro netto e coraggioso rifiuto di servire, dopo l’8 settembre, gli aguzzini di Hitler”. Da lì è proseguito il suo impegno in quella direzione, anche da Sottosegretario alla Difesa, fino all’approvazione “di una legge che, finalmente, riconsegnasse gli Internati Militari Italiani, quei valorosi soldati, alla gloria dell’Italia”[11].  Così, con il supporto anche dell’Associazione A.N.R.P. e grazie all’iniziativa avviata dall’allora vicepresidente della Camera Mulè tra aprile 2024 e gennaio 2025 il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva ed all’unanimità la legge n.6 del 13 gennaio 2025, che istituisce il 20 settembre di ogni anno la Giornata degli Internati Italiani. Al fine, come recita la legge all’articolo 1, di “conservare la memoria dei cittadini italiani, militari e civili, internati nei campi di concentramento, ove subirono violenze fisiche e morali e furono destinati al lavoro coatto, a causa del proprio rifiuto di collaborare con lo Stato nazionalsocialista e con la Repubblica Sociale Italiana dopo l’Armistizio dell’8 settembre”.

Perché il 20 settembre?

Perché è stata scelta la data del 20 settembre per questa Giornata, che lo Stato, le Scuole, i Comuni, le Università, le Regioni dovranno organizzare e celebrare ogni anno? La data individuata per l’istituzione della Giornata è quella della decisione di Hitler di inquadrare giuridicamente i militari detenuti come Italienische Militar- Internierten e non come prigionieri di guerra, che avrebbero avuto diritto alle tutele previste dagli accordi internazionali vigenti.

Va precisato che il provvedimento riguarda non solo gli “oltre 650 mila internati militari” e gli “oltre 45.000” morti nei lager per le note condizioni di vita e di alimentazione, ma anche sia i  circa 100.000 civili – uomini e donne – deportati per essere impiegati nel “lavoro coatto” sia i circa 100.000 fra uomini e donne che già erano in Germania come lavoratori prima dell’Armistizio e furono poi trattenuti e costretti a lavorare: “tre situazioni diverse che la storiografia da poco sta iniziando ad approfondire e che meritano nuove indagini e ricerche”, cui sono stai associati anche i Caduti militari della “prima Resistenza”, ossia “ soprattutto i morti nei primi scontri a fuoco, i fucilati dopo il disarmo e i naufragati nei trasporti navali”, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare[12].

Nella seduta della Camera del 16 settembre è stato, inoltre, precisato che le iniziative previste per la Giornata della memoria del 20 settembre vogliono essere “complementari” a quelle del 27 gennaio (ricordo della Shoah) e del 25 aprile (festa della Liberazione) e che la scelta degli IMI “sta dentro le giornate del 27 gennaio e del 25 aprile”. E ciò perché l’esperienza degli IMI “è orami stabilmente inserita anche nel quadro delle diverse forme di Resistenza  italiana ed europea”[13].


[1] G. GRIBAUDI, Memoria individuale e memoria collettiva, “Quaderni Storici”, 101/a. XXXIV, n. 2, agosto 1999.

[2] G. D’AGOSTINO – A. DEL MONACO (a cura di), Prima che la memoria si perda. Storia e didattica della Resistenza nel Sud, Napoli, F.lli Conte, 1990.

[3] www.archiviodiari.it. Ho elencato alcuni diari o testimonianze di deportati campani – certamente in numero inferiore rispetto a quelli pubblicati nel Nord in questi anni – nel mio articolo Gli internati militari nei lager tedeschi. La tragica vicenda di Vincenzo Ambrasi. Il napoletano fucilato dai nazisti all’arrivo degli Alleati. “il tetto”, 340 (dic. 2020), 72-89.

[4] Non a caso “La tregua”, dal 1963 edito da Einaudi, nel 2024 è stato distribuito nelle edicole da “la Repubblica”…

[5] G. IMPROTA, Sul treno con Levi. Il ritorno dal lager nel diario inedito del caporale napoletano Arcopinto. Documenti e testimonianze di internati civili e militari campani, La Valle del Tempo, Napoli 2022; illuminante e gratificante la recensione fatta da Luciano Zani, storico e presidente vicario A.N.R.P., sulla rivista “Campania Sacra”, 54 (2023), 256-259 e, in forma più ridotta, sulla rassegna mensile informativo-culturale dell’A.N.R.P. “Liberi”, n.10-12 (ottobre-dicembre 2024), 30-31.

 Nel “Diario” di Arcopinto, giorno per giorno, a partire dal 15 maggio 1945, troviamo decritti gli ultimi cinque mesi seguiti alla Liberazione dal lager: proprio quella stessa ”odissea ferroviaria” che patì Primo Levi e descrisse, da par suo, ne “La tregua”. Interminabili mesi trascorsi tra estenuanti attese di notizie sulla partenza, sull’arrivo della tradotta ferroviaria, e, una volta partiti, tra dubbi e preoccupazioni, specialmente a seguito di una non prevista deviazione verso Mosca, con sosta forzata di circa due mesi. E solo il 15 settembre 1945, quando molti internati già erano tornati a casa, inizia la descrizione del lento e faticoso percorso verso casa, sia di Levi che di Arcopinto, attraverso l’Europa. E, guarda caso, sono le stesse peregrinazioni, nei medesimi giorni, fatte da Primo Levi e che nel libro sono state messe a confronto.

[6] Gli Internati militari itraliani – ha osservato Labanca – furono  protagonisti del primo “referendum antifascista”, ma hanno sempre fatto fatica  a trovare un riconoscimento nella memoria della guerra e della Resistenza e in questi ultimi anni “sono diventati un oggetto di contesa politica. Il loro “No” al fascismo di Salò è stato depotenziato di ogni valore morale e politico. Sono totnati ad essere dei prigionieri e non dei resistenti senz’armi”…

[7] AVAGLIANO-PALMIERI, Gli internati militari italiani. Diari e lettere dai lager nazisti, 1943-1945, Einaudi, Torino 2009, XXXVII e XXXVIII. Lo status di IMI, deciso da Hitler, impedì ai militari italiani di poter usufruire delle tutele e garanzie previste dagli accordi internazionali (Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929, entrata in vigore il 19 giugno 1931) sui prigionieri di guerra.

[8] Un’ulteriore conferma di questa maggiore attenzione fu per chi scrive l’inaspettato e significativo invito – giunto dagli organizzatori del Festival LetterAltura 2023 di Verbania, sul Lago Maggiore – a parlare il 2 settembre, insieme con Elana Mastretta, direttrice scientifica dell’Istituto Storico della Resistenza nel Novarese, del mio libro Sul treno con Levi e degli internati campani a Fondotoce, frazione di Verbania, ove avvenne nel 1944 il noto e tragico eccidio di ben 42 partigiani, cui è dedicata la locale Casa della Resistenza.

[9] “Comprendere il nostro passato è un dovere fondamentale per non dimenticare ciò che è stato, chi siamo stati e chi siamo come Nazione e come collettività”, scrive l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Difesa, nella prefazione-presentazione del volume di Maria Gabriella Pasqualini 8 sttembre 1943- 25 aprile 1945. La Resistenza dei Militari Italiani: un lungo prcorso sino alla vittoria finale, “Liberi”, n. 8-9-10 (agosto-settembre-ottobre 2023).

[10] Testo di Aldo Cazzullo riportato sulla retrocopertina.

[11] “Liberi”, n.1-2 (gennaio-febbraio 2025), 19.

[12] A. FERIOLI, Una Giornata per gli internati militari, “Liberi”, n. 1-2 (Gennaio-Febbraio 2025), 5.

[13] Ivi, 6.

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