pubblicato su ‘Fuori Collana’, n.26, 25 febbraio 2025

Qui a Berlino per quasi una settimana le temperature sono scese sino a -12 gradi. Un meteo che simbolizza bene la situazione odierna del paese nel lungo inverno così come quella europea. Può, l’Ue, una fondazione americana, rifondarsi con le attuali classi dirigenti?

Intanto, due eventi, svoltisi a Monaco, hanno molto turbato gli animi della campagna elettorale. Il primo. In televisione si sono visti dei politici, ma anche dei cittadini comuni, apparire del tutto sconvolti di fronte all’attacco brutale del Vice-Presidente Usa, all’UE e alla Germania e questo nel corso della annuale conferenza transatlantica tenutasi nella città bavarese. Non solo, Vance ha suggerito ai tedeschi di votare per il partito di estrema destra, la AfD, di cui ha incontrato la rappresentante, evitando invece di farsi ricevere da Scholz. Lo shock è stato enorme, dal momento che il paese considerava sino a ieri gli Stati Uniti come il grande protettore del suo rinnovamento democratico dopo la catastrofe nazista, nonché il facilitatore della sua ripresa economica e il sicuro protettore militare (Chassany, 2025, a). Un mito crollato in poche ore.

Il secondo evento negativo che ha scosso le coscienze è stato l’episodio del veicolo, guidato da un immigrato, che si è lanciato sulla folla sempre nella stessa città. A poco è valso lo stesso appello dei parenti delle due vittime a non sfruttare l’episodio a fini politici. I cristiano democratici e l’AfD si sono buttati a capofitto sulla vicenda.

La crisi delle esportazioni

E veniamo all’economia. Le ragioni delle odierne difficoltà della Germania sembrano del tutto chiare, come appaiono sostanzialmente chiare quelle dell’intera Unione Europea, mentre la due crisi hanno plausibilmente molto, anche se non tutto, in comune. Per quanto riguarda invece i possibili rimedi le proposte portate avanti dalle varie parti in commedia non coincidono tra di loro in nessuno dei due casi. Quello che si può comunque già dire per quelle avanzate dal futuro cancelliere Merz è che esse appaiono per la gran parte non pari alla gravità della situazione (e certo i recenti dibattiti televisivi tra i più importanti candidati, prima a due, poi a quattro, non hanno fatto gran che per rassicurare), mentre per lo meno oscure appaiono le idee di Bruxelles.

C’è stato un tempo in cui la Germania era considerata il “malato d’Europa”. Poi l’economia si è messa a marciare, guidata in particolare da un vero e proprio boom delle esportazioni. L’opinione corrente è che il paese si sia a suo tempo svegliato grazie alle riforme del mercato del lavoro di Schroder. L’allora Cancelliere presentò le sue proposte al Parlamento nel marzo 2003 e la loro attuazione (esse presero il nome dal manager che le aveva messe a punto) venne varata in quattro fasi tra il 2003 e il 2005. Si tratta delle ben note riforme Hartz.

Le proposte di Schroeder hanno pesato fortemente sulle fortune elettorali del suo partito. Una parte importante delle classi popolari lo ha da allora abbandonato ed ha così perso molti milioni di voti a tutte le elezioni e si è ormai ridotto quasi al lumicino. In realtà, nella ripresa dell’economia sono entrati in gioco almeno, se non prevalentemente, diversi altri fattori. Intanto, al momento del varo dell’euro, il rapporto tra il marco e la moneta comune era stato fissato a livelli molto favorevoli per gli esportatori; poi nei primi anni del nuovo millennio eravamo in pieno boom dell’economia mondiale e del commercio internazionale. In particolare, la Cina si stava sviluppando al ritmo di almeno il 10% all’anno, assorbiva enormi quantità di merci tedesche e apriva le porte agli investimenti del paese teutonico.

Ma di recente il quadro è fortemente cambiato.  Scholz, al momento della sua elezione, aveva promesso un altro miracolo come quello del dopoguerra, ma i risultati sono stati largamente inferiori a quanto indicato (Chassany ed altri, 2025, b): il pil, dopo essere cresciuto dell’1,4% nel 2022 sotto la spinta del recupero post-pandemico, si è collocato in territorio negativo nel 2023 e nel 2024, rispettivamente con uno -0,3% e un -0,2%, mentre alla fine di quest’ultimo anno esso si ritrovava ancora al livello registrato prima della pandemia. Le previsioni per il 2025 non sono poi particolarmente incoraggianti. Il Kiel Institute prevede zero crescita, la Banca Centrale stima un +0.2% e il Governo, come sempre ottimista (si fa per dire), un +0.3%, mentre la Confindustria si ferma allo -0,1%. È stata colpita duramente negli ultimi anni la base stessa della sua economia, il settore manufatturiero, orientato all’esportazione, che presenta oggi una capacità produttiva inutilizzata pari al 25% del totale. Mentre la produzione industriale è diminuita del 30% rispetto al picco raggiunto nel 2017.

Il costo dell’energia, la Cina…

Gran parte delle ragioni delle difficoltà sono già state ampiamente esposte sugli organi di stampa. Intanto, dal lato degli input produttivi, tutti ovviamente citano il forte aumento dei costi dell’energia a seguito della crisi ucraina: oggi il prezzo del gas è più o meno di cinque volte quello Usa. Tale fattore, mentre alimenta il malumore delle persone, mette in difficoltà i settori più energivori: ricordiamo il caso della chimica, storicamente uno dei pilastri fondamentali dell’economia del paese. Il settore sta ormai emigrando verso la Cina, che controlla tra il 40 e il 50% del mercato mondiale, nonché gli Stati Uniti.

D’altro canto, dal lato degli sbocchi all’export, va naturalmente sottolineato di nuovo il caso dell’Impero Celeste. L’economia tedesca era ormai molto collegata sul fronte industriale al paese asiatico, ma nell’ultimo periodo, anche se gli investimenti delle grandi imprese tedesche continuano ad aumentare, essa tende a fare una concorrenza crescente alla Germania sia sul piano interno che sul fronte internazionale. E questo in tutti i settori tradizionali del paese europeo, dall’auto, alla chimica, alla meccanica.

Con i cinesi o sei a tavolo o sei nel menu

Un recente rapporto della Deutsche Bank, dal titolo “La Cina si sta mangiando il mondo?” si spinge sino ad affermare che l’anno 2025 sarà quello in cui la comunità internazionale degli affari si renderà pienamente conto che il paese sta surclassando economicamente il resto del mondo. Peraltro, già nel 2022, secondo le statistiche dell’ONU, la Cina era responsabile del 31,2% della produzione industriale mondiale contro il 16,3% di quella Usa, con la Germania che otteneva un dignitoso quarto posto, dietro al Giappone, con il 4,6%, mentre un rapporto dell’Unido prevede che nel 2030 la Cina controllerà ormai il 45% del totale contro l’11%   degli Stati Uniti e con un rilevante calo anche di Giappone e Germania. Come riassumeva la questione qualche anno fa un imprenditore tedesco: “con i cinesi o sei a tavola o sei nel menu”.

Intanto, il commercio internazionale è da qualche anno in fase di rallentamento, colpito in particolare dalle difficoltà frapposte dagli Usa e dall’UE allo stesso. Per alcuni decenni esso è cresciuto ad un tasso doppio di quello del pil mondiale, mentre negli ultimi tempi si è più o meno allineato ai ritmi dello stesso pil. Ora Trump minaccia dazi a destra e manca.

Concorre alla debacle della Germania anche l’evoluzione tecnologica: la grande sofisticazione tecnica delle auto tedesche, che contribuiva a farle ottenere sino a ieri dei margini economici molto grandi, oggi tende a servire molto meno di una volta; i componenti essenziali di un’auto elettrica come di quella a guida autonoma sono costituiti dalle batterie, dal software e dai congegni elettronici che oggi tendono a pesare per i tre quarti del totale dei costi, ed anche più per la seconda. Peraltro, la Germania è un paese lento e i tempi di decisione molto lunghi tendono a mantenere l’industria del paese lontana anche nei settori tecnologicamente avanzati e a registrare una capacità di reazione agli eventi spesso assai tardiva. La burocrazia pubblica appare un altro importante fattore di debolezza. Per alcuni settori delle costruzioni è necessario seguire circa 3000 direttive diverse. In ogni caso in due anni nell’indice di competitività internazionale redatto dall’IMD World Competitive Ranking il paese è sceso dal 15° posto del 2022 al 24° del 2024 (Bufacchi, 2025).

Vi è poi la questione delle strette politiche di bilancio, iscritte anche nella Costituzione, su cui è tra l’altro caduto il governo Scholz. Esse hanno determinato un sotto-investimento cronico in settori critici per il paese quali i trasporti e l’energia; più in generale, esse hanno bloccato adeguati stimoli all’economia e non sono riuscite a mantenere ai livelli precedenti il welfare. La sanità e la scuola oggi soffrono abbondantemente, mentre ci si trova anche di fronte alla presunta necessità di aumentare fortemente le spese per la difesa.

Il programma di Merz e dei suoi probabili alleati

Friederich Merz ha reso noto per tempo il programma del suo partito. Tra le altre cose, il probabile nuovo cancelliere promette una riduzione delle tasse sia per le imprese che per i più ricchi. Secondo una stima, i tagli proposti dovrebbero ridurre le entrate pubbliche di circa 100 miliardi di euro all’anno, il che equivale al 20% delle attuali entrate del budget federale. Per finanziare tali tagli Merz scommette su di un rilancio (quanto plausibile?) della crescita economica, nonché sui tagli alle spese sociali. Il carattere antisociale del programma è reso evidente anche sul fronte delle questioni ambientali, dove si registra un netto arretramento, ad esempio con la proposta cancellazione della proibizione della circolazione dei veicoli termici a partire dal 2035. Inoltre, il prossimo Cancelliere promette il ritorno all’energia nucleare (Aude, 2025).

Ma al primo punto del programma c’è la questione dell’immigrazione. Merz intende instaurare un controllo permanente alle frontiere, restringere i raggruppamenti familiari, riportare inoltre da cinque a otto anni il tempo necessario per la naturalizzazione degli immigrati (Grasland, 2025). Come è noto, su questo fronte il nuovo Cancelliere non ha inoltre esitato a unire in Parlamento i suoi voti a quelli dell’estrema destra.

Bisogna a questo proposito ricordare che la Germania ha accolto in media 600 mila immigrati all’anno nel periodo2014-2023. Oggi la carenza di manodopera appare acuta, in particolare nel campo dei lavori qualificati, ma anche in agricoltura, edilizia, logistica. Nel 2024 il numero dei posti vacanti si è aggirato nel paese intorno alle 700.000 unità. L’agenzia per il lavoro valuta che la Germania avrà bisogno di un’immigrazione netta di 400 mila lavoratori all’anno nel prossimo decennio (Di Donfrancesco, 2025).

Merz auspica, infine, una riduzione dei rapporti economici con la Cina. Di fronte a tale programma si pongono tre problemi. Il primo è sottolineato anche in un recente numero dell’Economist (The Economist, 2025, a); il settimanale, di fronte alla grande ampiezza della sfida cui si trova il paese, mostra dei dubbi rilevanti che Merz riesca ad affrontarli, riducendosi le azioni da lui proposte a ben poca cosa. Il secondo riguarda il fatto che in ogni caso ci sarà un governo di coalizione e i due candidati all’alleanza, i socialdemocratici ed i verdi, non sembrano molto d’accordo su molte delle proposte di Merz. Il ritorno all’energia nucleare e l’annacquamento della lotta ai cambiamenti climatici saranno ferocemente contrastati dai verdi. Merz vuole poi riformare in peggio il sussidio ai disoccupati, misura faro dei socialdemocratici, nonché la riduzione delle tasse ai ricchi, altra misura cui essi si oppongono. Anche sull’aumento del salario minimo, proposto da Scholz, i cristiano-democratici sono contrari. Infine, il terzo problema riguarda il fatto che, oltre che sul fronte degli immigrati, la volontà di ridurre i rapporti economici con la Cina significa sostanzialmente votarsi al suicidio.

Un punto cruciale sul quale bisogna che i partiti trovino comunque un accordo riguarda il livello della spesa pubblica e la necessità di superare i rigidi vincoli di bilancio scritti nella Costituzione (da sottolineare incidentalmente un apparente paradosso: mentre la Germania appare in difficoltà per la bassa spesa pubblica, la Francia lo è invece per la ragione contraria, una spesa pubblica fuori controllo). Il partito di Merz era in passato fortemente contrario ad allentare tali regole, mentre oggi, comunque pressato dalla situazione, sembra almeno accettare di discuterne, ma con molti distinguo. Un’altra questione controversa, ma collegata, riguarda poi le modalità di finanziamento degli enormi aumenti delle spese militari richiesti dalla Nato. Per la verità, sia Scholz che Merz non sembrano molto convinti di voler andare oltre un certo limite. Per finire, bisogna in ogni caso sottolineare, a proposito dei programmi, che, come sottolinea ad esempio Die Zeit nella sua edizione on-line del 18 febbraio, tutti i partiti importanti, sino ai verdi, si sono spostati negli ultimi tempi più a destra. Questi ultimi in particolare sono diventati i più accaniti guerrafondai tra tutti i partiti del paese.

De te fabula narratur

La crisi tedesca non riguarda solo il paese teutonico. I legami della sua economia con quelle di una parte consistente degli altri paesi europei sono molto stretti. Tra l’altro, una delle ragioni delle fortune economiche della Germania è stato proprio l’avvio a suo tempo di un forte processo di delocalizzazione delle sue produzioni ad est ed a sud nel continente.

Qualche tempo fa la Meloni si compiaceva del fatto che l‘economia italiana stava crescendo di qualche punto decimale in più di quella tedesca, dimenticando che una parte molto importante dell’industria del Nord Italia ha come suo cliente privilegiato proprio la Germania e che, anche in conseguenza di questo, l’attività del nostro settore industriale tende a rallentare fortemente. Così, nel 2024 la produzione industriale nazionale è calata del 7,1% rispetto all’anno precedente, mentre il mese di dicembre 2024 fa segnare il ventitreesimo mese consecutivo di riduzione. Particolarmente toccato il settore dell’auto, con un livello produttivo tornato al punto più basso dal 1957, ma poi anche la meccanica e il tessile-abbigliamento. Ma il ministro Urso continua a sottolineare che facciamo meglio della Germania, cosa che dovrebbe renderci contenti.

Ma al di là del caso italiano vogliamo ricordare quello della Francia, la cui economia è sempre più strettamente integrata con quella del suo vicino (Bequemin, 2025). Un segnale vistoso dei problemi ormai in atto è rappresentato dal netto rallentamento degli scambi commerciali tra i due paesi. Sul piano produttivo sono in particolare colpiti non solo l’industria, con in prima fila l’auto, ma anche l’alta tecnologia e molti servizi. Dei problemi si manifestano poi in diverse filiali francesi delle imprese tedesche, dove si registrano chiusure di fabbriche e riduzione dei livelli di occupazione, nonché nelle regioni francesi più prossime alla frontiera tra i due paesi, aree nella quali l’integrazione tra le due economie era più avanzata. E tutto questo in un contesto generale di difficoltà e di pessimismo.

Per altro verso, i vari governi francesi che si sono succeduti nel tempo avevano da qualche anno provato ad innescare un processo di reindustrializzazione, ma esso è sostanzialmente fallito; il livello della produzione manufatturiera era, alla fine del 2024, inferiore dell’8% a quella del 2020 (Bonnefous, Madeline, 2025).

Trump. O della paralisi strategica dell’Ue

In un recente articolo di The Economist (The Economist, 2025, b) si affermava, a proposito del nostro continente, che non si intravedevano vie di fuga dalla stagnazione che attualmente sembra attanagliare l’economia. Anche nel caso delle previsioni più ottimistiche il pil non dovrebbe arrivare al +1,0% nel 2025.

Da dove possono venire delle spinte allo sviluppo futuro? I consumi non seguono, tra l’altro con una popolazione sempre più anziana che preferisce mettere i soldi in banca; le prospettive dell’export, su cui tanto ha contato non solo la Germania, ma gran parte del continente in passato, sono sostanzialmente negative. Trump vuole bloccarle, mentre la Cina semmai vuole esportare di più da noi. Gli investimenti presuppongono fiducia nel futuro, sentimento che appare del tutto assente; quelli delle imprese dell’Unione sono in caduta dal 2019 (The Economist, 2025, b). I governi sono inerti, mancano le risorse e le idee. Si aumentano le spese per la difesa, ma questo certo non basta. I settori maturi sono in difficoltà, mentre in quelli nuovi dominano Cina e Stati Uniti.

Per molti aspetti il quadro somiglia a quello già esplorato a proposito della Germania. Non si può inoltre dimenticare il ruolo delle politiche della Commissione Europea. Bruxelles, con la guida di Ursula von der Leyen, si è nel corso degli ultimi anni sempre mostrata pronta a recepire gli ordini di Washington ed ha cercato quindi di rendere in tutti i modi difficile la vita alle imprese e ai prodotti cinesi con tutti i pretesti possibili; ora che arrivano le minacce di dazi e di altre condanne da parte di Washington la Commissione si trova nella sostanza a dover combattere su due fronti, cosa che il nostro continente non è certo in grado di reggere, non possedendo né gli strumenti, ne l’unità necessaria per proteggere i propri interessi (Trillo-Figueroa, 2025).

In questo scenario la von der Leyen mantiene la sua posizione di assoluta nemica della Cina, mentre l’industria del Continente è pienamente integrata nelle catene di fornitura di Pechino (Trillo-Figueroa, 2025). A Bruxelles regna quindi in questo momento una situazione di caos e di grande difficoltà, come del resto in Germania. Il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha messo in evidenza in modo spettacolare la paralisi strategica dell’UE (Trillo-Figueroa, 2025). Ma al di là dei problemi esterni l’Unione ne ha anche al suo interno. Come sottolinea di recente lo stesso Mario Draghi (Draghi, 2025) le alte barriere interne all’Unione e i vari ostacoli regolamentari presenti sono persino più dannosi di qualsiasi dazio Trump voglia imporre.

Certamente la Germania mantiene una solida base tecnica e tecnologica mentre, più in generale, l’Unione europea non manca certo di centri di ricerca e di capacità scientifiche e tecnologiche in grado di far fare potenzialmente un importante salto di qualità al Continente. Ma tutto questo non basta certamente più di fronte all’assenza totale di classi dirigenti in grado di concepire e di portare avanti un grande progetto di trasformazione. Le debolissime figure di Merz e della von der Leyen rappresentano plasticamente tale realtà, in particolare con la scarsa rilevanza dei programmi da loro prospettati. Ai problemi economici e politici interni si aggiunge un quadro esterno deteriorato, in particolare in seguito alle iniziative dichiaratamente ostili di Trump. Fanno riflettere e inquietano le conclusioni desolanti cui arriva Lucio Caracciolo in una recente intervista (Cannavò, 2025). Di fronte alla domanda se una rifondazione dell’Unione Europea sia a questo punto possibile, egli risponde: «Non credo ad una rifondazione, l’Unione è una fondazione americana…ma nel momento in cui gli Usa ci lasciano noi torneremo a quello che siamo sempre stati, paesi in conflitto, sperando che questo non comporti una guerra tra noi, come è sempre successo».

Testi citati nell’articolo

-Aude M., Les dangers du programme des conservateurs pour l’AllemagneAlternatives Economiques, febbraio 2025.

-Bequemin F., La France va etre un gran dommage collateral de la récession en AllemagneMediavenir, 12 febbraio 2025.

-Bonnefous B., Madeline B., La réindustrialisation de la France a fait long feuLe Monde, 18 febbraio 2025.

-Bufacchi I., In due anni è crollata la competitività del paese”, Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2025.

-Cannavò S., Senza gli Usa, Nato e Unione sono finite. C’era da aspettarseloIl fatto quotidiano, 17 febbraio 2025.

-Chassany A.-S., End of an era ? Germany in disarray as US scolds staunchest european allywww.ft.com, 16 febbraio 2025, a.

-Chassany A.- S. ed altri, How Germany declined under Olaf Scholzwww.ft.com, 16 gennaio 2025, b.

-Di Donfrancesco G., All’economia tedesca servono 400mila immigrati l’annoIl Sole 24 ore, 11 febbraio 2025.

-Draghi M., Forget the Us – Europe has successfully put tariffs on itselfwww.ft.com, 14 febbraio 2025.

-Grasland E., Les conservateurs allemands remettent le cap sur l’économieLes Echos, 4 febbraio 2025.

-Trillo-Figueroa S. C., «Europe last»; how von der Leyen’s China policy traps the EUwww.asiatimes.com, 23 gennaio 2025.

The EconomistCan Friederich Merz save Germany and Europe?, 15 febbraio 2025a.

The Economist, Onward and sideways, 8 febbraio 2025b.

L'autore

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Vincenzo Comito

Vincenzo Comito (1940), ha lavorato nell’industria (gruppo Iri, Olivetti) e nel movimento cooperativo, nelle aree dell’amministrazione e finanza, del controllo di gestione e del personale. Docente di Finanza aziendale, ha insegnato alla Luiss di Roma e all’Università di Urbino. Fa parte del gruppo “Sbilanciamoci” e di quello di "Fuoricollana". Tra i suoi ultimi libri: “La globalizzazione degli antichi e dei moderni” (Manifesto libri, 2019)