Dal Manifesto alla pianificazione di strategie e azioni politiche di lungo periodo
per migliorare il sistema penitenziario
Dalla dignitas infinita alla dignitas in finitis (rebus)
Dignità infinita, come l’ha voluta qualificare papa Francesco, è prerogativa di cui ogni essere umano è dotato per il semplice fatto di esistere, prima e al di là di ogni aggettivo, di ogni qualifica, di ogni fascicolo.
Quando l’art. 27 parla di pene che non possono consistere in trattamenti «contrari al senso di umanità» riconosce il valore civile di questa dignità.
La dignitas infinita può essere sperimentata solo nella dignitas in finitis.
Mi preme richiamare alcuni aspetti del “sistema penitenziario” che contraddicono la “dignitas infinita” della persona e nello stesso tempo risultano un’offesa alla nostra dignità civile e alla nostra intelligenza politica.
Quando l’assurdo diventa norma
Il diritto positivo è a tutela dell’etica civile o della persona? È una falsa alternativa?
C’è una situazione (in realtà sono tante) nella quale il “sistema penale” italiano – orientato dalla Costituzione al reinserimento – mostra la sua inconsistenza paradossale per non dire assurdità. Quando un imputato ha trascorso in carcere il tempo massimo previsto per la custodia cautelare (non parliamo dell’uso “disinvolto” di questa eccezione a discapito di chi è presunto innocente) e torna alla libertà; riesce a trovare un lavoro, a procurarsi un domicilio, a “metter su” famiglia alla quale promette un futuro; e poi, magari dopo dieci anni (anche più), lo raggiunge la condanna definitiva deve andare in carcere, bruciando tutto quanto fin qui costruito, esattamente per ricostruire – con l’“aiuto” del carcere – quel “reinserimento” ottenuto con la sua sola buona volontà. Assurdo? Sì, ma frequente.
La sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale
La sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale riconosce il diritto a «colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia».
I commenti – questi sì indecenti – che titolano la notizia parlando di «stanze a luci rosse», sviliscono la “dignitas infinita” dell’intimità affettiva e sessuale di una coppia.
Devo ammettere che la predicazione della Chiesa ha per secoli rinforzato il pregiudizio malizioso nei confronti degli affetti e ancor più della sessualità, nel contesto di una denigrazione più generale e pregiudiziale del piacere.
Come cappellano sento il dovere di chiedere che venga riconosciuto e apprezzato il diritto all’intimità affettiva, «anche a carattere sessuale» come momento alto di quella “dignità” che ci fa sperimentare capaci di dare e ricevere amore.
Non ci sono strategie politiche nuove da inventare; basta decidersi a dare esecuzione al dettato della Corte costituzionale, organo al quale dobbiamo tutti rispetto a prescindere dagli schieramenti di partito.
La Legge Bossi-Fini (30 luglio 2002, n. 189)
Trovo semplicemente assurda e paradossale una legge dello Stato, come la Bossi-Fini, che dichiara il carcere intrinsecamente incapace di assolvere le finalità rieducative indicate dalla Costituzione e così permettere a chi avesse completato un percorso riabilitativo durante la reclusione di essere integrato nella società italiana e ottenere il permesso di soggiorno. Anche costui, al termine dell’esecuzione penale in carcere, dove è stato mantenuto dai contributi dei cittadini al solo scopo – si direbbe – di soffrire, deve essere respinto (e dunque tornare in clandestinità se non torna al Paese d’origine). Una legge dello Stato che dubita radicalmente di un’istituzione dello Stato!
Considerare la pena in termini retributivi («hai fatto del male e perciò ti faccio del male») è prima che ingiusto stupido. Un carcere costruito sulle fondamenta di una giustizia retributiva è una struttura che deresponsabilizza.
Ogni legge, istituzione, ordinamento che produca effetti deresponsabilizzanti denuncia una intrinseca contraddizione rispetto alle finalità civili che intende perseguire. È questione politica prima ancora che accademica o etica.
Dal momento della promulgazione (2022) nessuno dei governi che si sono succeduti ha ritenuto rispettoso dell’intelligenza dei cittadini metter mano a una revisione sostanziale o soppressione della Legge.
Carcere: extrema ratio o usualis irratio?
La Costituzione parla di pene al plurale e non parla mai di carcere. La parola carcere semplicemente non c’è.
È a tutti nota l’inefficienza del “sistema carcere” in ordine alla “rieducazione” indicata dalla Costituzione come finalità delle pene.
A forza di martellate propagandistiche – e in malafede – è stato fissato il chiodo dell’equazione più carcere + più carceri = più sicurezza. Altra menzogna colossale smentita dagli stessi dati del Ministero della giustizia: per chi esce direttamente dal carcere alla libertà (e dal carcere di Bologna escono mediamente due persone al giorno) la probabilità di ritornarci è statisticamente del 68%. Per chi, almeno nella parte finale dell’esecuzione penale, ha potuto trovare accompagnamento nelle misure alternative al carcere, la recidiva si abbatte al di sotto del 20%.
Se nella Bologna dell’eccellenza ospedaliera, 7 pazienti su 10 uscissero dagli ospedali più malati di quando sono entrati, non chiederemmo la chiusura immediata di quelle strutture che assorbono ingenti risorse finanziarie e umane senza assolvere al proprio compito?
Se nella Bologna dell’eccellenza universitaria, 7 studenti su 10 non riuscissero a conseguire la laurea saremmo così certi che sia tutta colpa soltanto degli studenti?
Per quale motivo ragionevole siamo disposti a spendere 150€ al giorno (Rapporto Antigone 2024) per tenere una persona in carcere e non siamo disposti e destinare nemmeno un euro ai progetti che si occupano di misure alternative? Ci va bene che siano amministrati così i soldi dei contribuenti?
Cappellano: occuparsi e preoccuparsi
Rispetto alle figure istituzionali – sempre incostituzionalmente poche rispetto alla necessità – il cappellano non è tenuto a stabilire un “contratto educativo” con la persona detenuta e ha l’impagabile opportunità, e il dovere che ne deriva, di offrire una relazione gratuita. Condizione di una dignità incondizionata e di ogni condizionale salvezza.
Credo profondamente e incondizionatamente alla dignità di ogni persona. Come umano e come credente me ne preoccupo. Per il mio ruolo, anche in nome della società civile, me ne occupo, certo che ne vale comunque la “pena”, in attesa che se ne occupi anche una politica rispettosa della comune dignità infinita e dell’intelligenza dei cittadini.
In copertina: AM Hoch, DETAIL, The Horror Autotoxicus, olio su tela (2021-2022)