Degli anni Sessanta e Settanta la storiografia, oltre agli scontri di piazza e paramilitari, ricorda giustamente le grandi riforme: lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, la Riforma sanitaria, la Riforma dell’istruzione superiore ed universitaria, la Legge sul divorzio, la Riforma del diritto di famiglia, l’abbassamento della maggiore età da ventuno a diciotto anni, la Riforma Basaglia, l’equo canone, la Legge 194/78, che legalizzò l’aborto e le grandi conquiste sindacali.

Pochi ricordano la 121/81 sul ‘Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza’, che smilitarizzò la Polizia dello Stato.

La sua gestazione – e la sua gestione dopo che fu promulgata – ci vengono raccontate ora in una recente raccolta degli editoriali di Franco Fedeli, uno dei padri della Riforma, ‘Polizia, Società e Politica nell’Italia repubblicana’, a cura di Michele Di Giorgio, Unicopli, Milano 2023, pagg. 564, €38,00.

Non solo un omaggio al protagonista delle battaglie per la smilitarizzazione della Polizia di Stato e della fondazione del SIULP, ma l’occasione per restituirci di quegli anni il clima culturale e la temperie dei conflitti politici tra contrastanti sentimenti popolari.

Franco Fedeli (1940/97) lavorò nelle redazioni di ‘Ordine Pubblico’, ‘Nuova polizia e riforma dello Stato’ e ‘Polizia e Democrazia’, delle quali fu anche direttore. Quelle riviste costituirono uno strumento fondamentale per consentire il dialogo interno agli operatori della sicurezza del nostro Paese. Soprattutto per raccogliere gli sfoghi, le riflessioni, i sentimenti degli agenti impegnati su strada e nei commissariati. Gli editoriali di Fedeli ne cucivano i lembi, orientando il personale della polizia e incanalandone le spinte nel progetto riformatore. La raccolta è già di per sé di inestimabile valore storico, costituendo una fonte preziosa per gli studiosi.

Non da meno sono le prefazioni ed introduzioni agli editoriali. Oltre al saluto dell’attuale segretario del Siulp, Felice Romano; le due del curatore, Michele Di Giorgio; quella della moglie di Fedeli, Angela Boccioni, da lui conosciuta proprio nella redazione di ‘Ordine Pubblico’ e poi sposata; quella di Antonio Mazzei, ricercatore e saggista; infine quella dello storico Nicola Labanca, ordinario dell’Università di Siena.

Furono anni cruenti i Settanta e gli Ottanta. L’Italia viveva la fase più tragica della sua ancora giovane vita repubblicana. Terrorismo rosso e nero, servizi deviati, ingerenze dei servizi stranieri, camorre e mafie che occupavano territori e segmenti rilevanti delle attività economiche. Ed intrecci tra loro: clan malavitosi che si alleavano con gruppi della lotta armata a sfondo politico; connubi tra servizi stranieri, mafie e gruppi armati; connivenze tra servizi nazionali deviati, mafie e terroristi. Lo Stato faceva acqua da troppe parti, faticava a fronteggiare quell’emergenza.

C’era una distanza abissale tra forze dell’ordine, giovani ed operai. Lo dice bene Labanca: per tanti il poliziotto non era il tutore delle libertà e dei diritti dei cittadini, ma lo sbirro al servizio del potere.

Ero presente per caso in via Marino Turchi a Napoli, proprio alle spalle di Palazzo Santa Lucia, la sede della Regione, il 19 maggio 1980, quando la polizia raggiunse ed accerchiò il commando delle B.R. che aveva appena ucciso l’assessore regionale DC Pino Amato. Stavano in una Skoda i Bierre, tra loro anche una ragazza. Li comandava Bruno Seghetti, pur ferito da un colpo partito dall’autista dell’assessore Amato. Tentarono di lanciare delle bombe a mano che non esplosero. Ebbi una paura tremenda. Ed insieme uno strano sentimento di vicinanza a quei quattro sventurati, assassini accecati dall’ideologia.

Grosso modo questo era il clima che si respirava. Franco Fedeli – lo scopro solo ora grazie al volume che sto recensendo – da anni insisteva sulla necessità di avvicinare la polizia di Stato alla gente. Il terrorismo si sarebbe rigenerato, pur se con un livello qualitativo-militare decrescente, se non si fosse colmato il fossato tra forze dell’ordine e la gente. Le stellette, l’inquadramento militare, non aiutavano. La polizia doveva diventare un’organizzazione civile. Con la sua democrazia interna, con i suoi sindacati.

Non era facile sostenere quelle posizioni. Non erano stati pochi gli agenti della Polizia di Stato a cadere nell’esercizio delle loro mansioni. Da Boris Giuliano, forse il più noto, ucciso nel ‘79 a Palermo da Cosa Nostra, a Salvatore Aversa, assassinato dalla ‘Ndrangheta insieme a sua moglie Lucia Precenzano nel ‘92 a Lamezia Terme, ai tanti agenti delle scorte di politici e magistrati vittime delle stragi della criminalità politica e di quella mafiosa. Eroi loro malgrado.

Oggi, con le pulsioni securitarie tanto diffuse in Italia, la risposta sarebbe stata ben altra rispetto a quella degli anni ottanta. Sarebbe stato impensabile smilitarizzare la Polizia dello Stato e legittimarne la sindacalizzazione. Chissà che ne sarebbe stato oggi dei vari Vincenzo Felsani, primo segretario generale del Siulp,  di Francesco Forleo, che sarebbe succeduto a Felsani nel ruolo di segretario nazionale del sindacato, di Franco Fedeli e degli altri del ‘Movimento dei carbonari’, che da un decennio si riunivano  con l’obiettivo di modernizzare, smilitarizzare e sindacalizzare la polizia.

Eppure fu proprio in quel contesto che il primo aprile 1981, venne promulgata la Legge 121. La Polizia diventò “corpo civile militarmente organizzato per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico”. Corpo civile a tutti gli effetti dunque, aperto a uomini e donne.

Se ciò fu, lo si deve appunto ai quei ‘carbonari’, pur fedeli servitori dello Stato, i quali, dall’interno della polizia e proprio perché chiamati ogni giorno a garantire la sicurezza dei cittadini, si erano resi conto della debolezza di una risposta solo securitaria, per la quale i movimenti di protesta erano ‘nemici’ da combattere, piuttosto che fenomeno sociale ed insieme esplicitazione della partecipazione democratica contemplata dalla costituzione repubblicana.

La polizia, a loro avviso, avrebbe dovuto garantire le proteste, arginandone le radicalizzazioni che mettevano in pericolo i cittadini non coinvolti in esse e gli stessi attivisti dei movimenti, non reprimerle. Per parte sua il terrorismo andava isolato socialmente, non solo combattuto militarmente.

L'autore

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Luigi Gravagnuolo

Luigi Gravagnuolo, n. 1951, è stato giornalista direttore della Radio Tv Salerno Sera, insegnante, docente presso l'UNISA negli anni novanta, comunicatore d'impresa e per Enti pubblici, direttore generale dei Comuni di Baronissi e di Salerno, sindaco di Cava de' Tirreni. Oggi è notista per diverse testate online, tra le quali genteeterritorio.it