Tra il 2015 e il 2021, nell’ambito delle commemorazioni dantesche, la Cattedra Esprit Méditerranéen dell’Università della Corsica ha iniziato diversi progetti allo scopo di far conoscere e condividere il patrimonio dantesco isolano. Più d’una occasione d’incontro si è data agli studiosi, artisti, poeti e improvvisatori per scambiare saperi e prospettive, facendo « resurgere la morta poesia » in quel modo invocato dal poeta uscendo dall’inferno : « ma qui la morta poesi resurga » (Purg. I, 7). Nel 2015 al Collège de France, su invito del Professor Carlo Ossola, il gruppo polifonico A Ricuccata, composto di cantori non professionali e diretto dall’etnomusicologo Francesco Berlinghi, ha interpretato in paghjella, cioè nel modo tradizionale corso di cantare a tre voci, l’intero canto XXXIII del Paradiso. Questo primo esperimento creativo è stato esteso nel 2021 alla registrazione di nuovi brani delle tre cantiche dantesche con il CD Dante in paghjella, prodotto con il sostegno della Collettività di Corsica per essere distribuito gratuitamente on line e negli organismi culturali e educativi pubblici, e promosso da diversi concerti in tournée tra Italia e Francia.
Il fatto è che la gente di Corsica aveva fino all’ultimo Novecento una lunga familiarità con la Commedia, cantandola e recitandola a memoria, poiché nell’isola si parlava un volgare vicinissimo al toscano medievale. Non a caso, perché la Corsica era stata pisana fino alla battaglia della Meloria (1284), poi genovese fino a 1755, quando si liberò per instaurare la prima repubblica costituzionale europea (1755-69). Anche dopo l’annessione alla Francia, la sua vicinanza linguistica e culturale con la terraferma è rimasta rilevante. Purtroppo rovinate, numerose capelle romaniche affrescate attestano un’antica cultura dotta perfino in aree rurali, e si può tuttora vedere dentro una capella del paesino di Pastoreccia un affresco che raffigura l’inferno dantesco con l’iscrizione dei versi del poeta sulla porta della « città dolente » (ill.).
La tradizione dantesca qui risorta nel canto polifonico era ancora viva nella memoria degli anziani corsi, anche se tra la fine del Novecento sembrava dimenticata. Proprio al inizio del nuovo secolo, si è fortunatamente sentito un vecchio pastore cantando nel modo tradizionale del suo paesino di montagna i primi versi del canto XVII del Purgatorio, da lui interpretato come se fosse un canto di transumanza. I vecchi pastori di Corsica, come quelli di Virgilio, erano spesso poeti improvvisatori che conoscevano benissimo la poesia colta trasmessa per lo più per tradizione orale, e magari qualcuni la leggevano. E quando si è chiesto ai cantori “popolari” di A Ricuccata di cantare per la prima volta i versi di Dante, che per lo più non conoscevano, questa « morta poesia » l’hanno cantata come se fosse stata composta proprio per loro, concordava perfettamente con il loro modo di recitar cantando. Se la Commedia si canta cosi naturalmente “alla còrsa”, recitata con l’accento locale ma con profondo intendimento del senso poetico, non si fa solo perché la lingua di Dante suona come il volgare di Corsica, ma perché la sua terza rima è simile all’antico modo d’improvvisar cantando ancora usato dagli isolani.
Nelle tradizioni polifoniche di Corsica si conoscono diversi modi di cantare, ognuno denominato secondo la natura del testo poetico musicato : la paghjella è il nome odierno del modo generico di cantare in polifonia, ma corrisponde propriamente al distico elegiaco, la più piccola unità metrica, in due versi, delle antiche tradizione poetiche. Si canta ancora qui un’altra forma di poesia colta, più rara, chiamata madrigale, e una più comune chiamata terzettu oppure terzina. Forse quelle antiche forme di poesia si usavano già quando la Corsica era pisana, e sono sempre vive nel repertorio “popolare”. Per questo i cantori corsi sentono un legame quasi naturale tra il loro terzettu e la terza rima dantesca – un legame non solo metrico o ritmico ma più essenzialmente civico oppure politico.
Quel modo polifonico di cantare “alla còrsa” figura propriamente un’armonia musicale complessa, capace d’accordare tre voci discordanti senza ridurle all’unisono. Anzi simbolicamente si riferisce a quel « legame musaico » concepito da Dante stesso come principio di civiltà. Le dissonanze armoniche sono l’immagine dei contrasti del mondo e della società, le quali non smettono mai e nemmeno si possono armonizzare semplicemente in omofonia – così come un pensiero unico non riesce mai a cancellare la diversità dell’immaginare e del sentire umano. Questa polifonia fa piuttosto sentire la poesia dantesca che non illustrarla o accompagnarla, dato che per i cantori contadini la musica non è un aggiunta al testo ma, come Dante stesso illustrava nel De vulgari eloquentia, è proprio il segno rivelatore d’una improbabile composizione armonica tra suoni e senso. L’esperienza performativa del canto polifonico ci fa così intendere la complessità del senso « polisemo » tramandato da Dante alla « gente futura » affinché si rammenti sempre quanto sia necessaria la poesia nei tempi di pericolo.
Per ascoltare gli A Ricuccata, che cantano ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’, vai al link https://piona.bandcamp.com/album/dante-in-paghjella
In copertina; Album Dante in Paghjella. Da l’Infernu à u Paradisu, degli A Ricuccata