Il contributo è il testo riveduto dell’intervento tenuto al Seminario svoltosi a Bologna il 6 febbraio 2025, presso il Circolo PD della Bolognina, sul tema «La questione meridionale è questione nazionale”
L’esperienza delle Politiche di Coesione.
Questo contributo nasce dall’esperienza e dal lavoro solto da una posizione privilegiata riguardo al tema proposto, quella di coordinamento delle politiche di coesione lungo un periodo piuttosto emblematico racchiuso fra il 2012 e il 2018 dopo le crisi economiche del 2008 e del 2011. Partiamo dalle politiche di Coesione prima di affrontare il tema dell’autonomia e il suo impatto sull’uguaglianza. Per inquadrare brevemente cosa siano le politiche di Coesione occorre sottolinearne la base regionale appunto e la finalità che è quella di dare alle regioni europee in ritardo di sviluppo risorse maggiori e aggiuntive necessarie per realizzare ingenti investimenti sia su vari settori produttivi considerati strategici per ciascun territorio, che su diversi comparti come infrastrutture, scuola, formazione, occupazione e rafforzamento della pubblica amministrazione. Gli Stati membri negoziano con la Commissione europea le priorità complessive dell’Unione e le regole generali dei fondi strutturali e ciascuno Stato membro negozia poi le modalità specifiche per il proprio Paese. Queste politiche se studiate in profondità offrono per il nostro Paese una visione generale di come, finito l’intervento della Cassa del Mezzogiorno e di quell’epoca che si connota come Golden Age, siano intervenute le politiche di coesione a proseguire, pur se in modo totalmente diverso, un intervento specifico per le regioni italiane in ritardo di sviluppo come sono definite quelle meridionali del nostro Paese.
Un terzo delle politiche del bilancio europeo è dedicato alle politiche di Coesione, e l’Italia è la seconda fra i percettori di queste risorse. La politica di coesione rappresenta un unicum a livello globale per tutti i temi dello sviluppo, risposta inclusiva che si basa sul principio che “nessun territorio debba rimanere indietro”, che la diseguaglianza nuoce anche ai territori più avanzati e per questo si rivolge a tutte le regioni. Al Nord d’Italia, anche se in misura largamente inferiore rispetto al Sud, e anche alla Germania, alle regioni più sviluppate quindi dell’Unione, proprio perché ogni Paese guardato in profondità può presentare condizioni di sviluppo diverse rispetto a quelle che siamo abituati a considerare, inclini spesso a guardare indietro ancorati a stereotipi e mai avanti tenendo conto delle spinte innovative o delle nuove criticità da cui ogni territorio é caratterizzato.
Le politiche unitarie generano risultati win-.win
Osservare la prospettiva dello sviluppo in ottica globale e complessiva evidenzia che ogni euro che si investe nei territori che sono indietro nello sviluppo ritorna ai territori che sono capaci invece di esprimere la risposta per mettere a terra quelle risorse e ad esprimere capacità di investimento: e vi ritorna moltiplicato[1]. Tutte le risorse UE che sono state ricevute dalla Polonia per esempio, primo percettore delle risorse di coesione, e quelle che hanno consentito all’Est dell’Europa di crescere con le politiche di Coesione e cambiare volto, hanno arricchito anche la Germania e le nostre imprese del Nord. Allo stesso modo le risorse della Coesione investite al Sud d’Italia per ridurre il divario sono tornate in parte al Nord del nostro paese.
Lo sviluppo, cui la diseguaglianza nuoce, si genera se tutte le aree di un paese vengono poste in connessione e si accresce tanto più la visione non sia frazionata ma unitaria. Allo stesso modo lo sviluppo di singole aree a danno di altre anche a livello globale finisce per far registrare una crescita inferiore anche delle aree più ricche. Le politiche di Coesione hanno in questo senso due grandi meriti per quello che riguarda l’Italia, che evidenzio di seguito, e andrebbero per questo sempre viste con un occhio di favore. Primo merito mettono a disposizione molteplici strumenti per condividere soluzioni e buone pratiche e questo elemento diviene impulso di crescita della capacità amministrativa e del benessere delle comunità beneficiarie, fatte da imprese, cittadini, istituzioni. Secondo merito sono risorse caratterizzate dal fatto di essere cofinanziate e possono contare su un contributo dell’Unione europea che vale più di 43 Mld € ogni settennio, che raggiungono in massima parte il Sud, e rappresentano il ritorno in Italia della metà circa del contributo che il Paese versa come pagatore netto al bilancio dell’Unione Europea. Per inciso questa è una delle conferme che la narrazione che vede il Sud assorbire risorse che non genera senza restituirne vantaggio collettivo vada rivista.
Diseguaglianze strutturali ed emergenze
É interessante a questo punto evidenziare come le politiche di Coesione, che sono appunto politiche dirette a sanare i divari – spesso criticate perché non hanno saputo ridurli – hanno affrontato il problema delle diseguaglianze e delle emergenze. Le risorse stanziate negli ultimi decenni sono state rese flessibili e poste a disposizione per il superamento delle crisi economiche e sanitaria piegandosi all’emergenza e risolvendo molti nodi concreti e urgenti, ma inevitabilmente si sono allontanate dal loro focus: ridurre le diseguaglianze di sviluppo. Le crisi del 2008, del 2011 e quella della Pandemia iniziata nel 2020 hanno evidenziato sviluppi differenziati all’interno di aree che si pensavano omogenee anche perché le risposte non hanno saputo essere cosi granulari.
Nel 2008 la risposta chiesta alla Coesione per fronteggiare la crisi è stata molto tardiva, è stata realizzata solo col taglio del cofinanziamento, quindi è stata una risposta che ha pesato effettivamente sulle risorse del Sud. Tanto più che le risorse della Coesione per il Sud non sono mai state veramente ‘aggiuntive’ come la loro natura imporrebbe, piuttosto sono state molto spesso ‘sostitutive’ rispetto a quelle ordinarie. Infatti le misure di incentivo e sostegno economico sono sempre studiate per le esigenze del sistema produttivo meno presente al Sud, e inevitabilmente queste stesse misure finiscono con il favorire in modo strutturale maggiormente il Nord dove il sistema produttivo è più efficiente e presente e lasciare al Sud sul terreno opere ma solo in misura inferiore capacità di crescita intrinseca e competenze. Nel 2008 la crisi è stata di depressione e in qualche modo di maggior svantaggio per il Sud rispetto alle risorse che erano stanziate a disposizione di investimenti strutturali per il Mezzogiorno e ugualmente così è stato anche per quella del 2011, dove i tagli sono stati molto ingenti.
Nel 2020 l’Unione Europea ha avuto invece una reazione diversa, molto più rapida, che ha portato le risorse di Coesione a dare una risposta molto interessante e di grande unità anche a livello di governance dell’Unione Europea: l’acquisto dei vaccini ne è un esempio avendo messo in connessione gli Stati membri e operato in qualche modo da ‘stazione appaltante’ comune. Inoltre si portò a zero la necessità di cofinanziamento dello Stato membro per favorire la rendicontazione e la percezione dell’intera quota comunitaria e si consentì con quelle risorse il pagamento del personale sanitario. Sempre in risposta alla crisi pandemica è stato istituito il Next Generation EU da cui derivano i PNRR che nascono dall’esperienza della Coesione e non a caso hanno anch’essi fra le loro finalità la riduzione dei divari. Nel corso della Pandemia c’è stata la massima flessibilità e le risorse dedicate al Mezzogiorno, sono state capaci di rispondere alle molte esigenze di sviluppo che i territori reclamavano.
Investire sulle reali possibilità di sviluppo del territorio
Le esigenze di sviluppo sono distribuite in modo differenziato, come il recente Rapporto Svimez mette bene in evidenza. Esistono diversi enclave e velocità diverse di sviluppo fra zone appartenenti a medesime macroaree. In questo senso anche le politiche di Coesione hanno dato una risposta estremamente interessante nel tempo sia nella programmazione 2007-2013 che già puntava su bioeconomia e green economy, sia in quella del 2014-2020 con le Strategie di specializzazione intelligente, e adesso in modo molto marcato nel 2021-2027 con le condizioni abilitanti. E si avviano a darla ancor più nel post 2027 dove dovranno considerare le nuove esigenze dell’Unione Europea rispetto al mutato contesto internazionale, per esempio guardando agli investimenti nel settore Difesa.
Dobbiamo quindi cercare di fare in modo che gli investimenti siano tarati sulle vere possibilità del territorio. Qual è infatti uno dei temi? Sicuramente quello di classi dirigenti non sufficientemente capaci nei territori in ritardo di sviluppo di gestire le risorse per soddisfare in modo adeguato i fabbisogni: il Sud ha pagato spesso una concezione ‘proprietaria’ delle risorse da parte della classe politica, ma va anche considerato che ingenti risorse sono state calate su apparati amministrativi estremamente fragili.
Le risorse della Coesione, adesso connesse con il PNRR, hanno messo a disposizione del Sud del nostro Paese perché in ritardo molte risorse costituendo un motore di sviluppo potenzialmente molto performante. Il fatto che siano rivolte a tutti i territori, anche i più sviluppati, ha consentito di collegare le aree di sviluppo avanzate con quelle in ritardo: il ventaglio di possibilità di investimento apre su tutti i settori e le traiettorie dello sviluppo. Se osserviamo per esempio il tasso di innovazione e ricerca vediamo quanto sia sbilanciato a favore delle regioni più sviluppate e questo elemento non può essere trascurato e va affrontato guardando al territorio nel suo insieme vista la necessità di un travaso di conoscenze e di saperi. A questo proposito è da valorizzare il fatto che l’Unione Europea ha introdotto anche un metodo di orientamento agli investimenti favorendo la messa a punto di quadri ordinati di strategie e di metodologie come condizione abilitante per gli investimenti cofinanziati, che credo rappresenti una opportunità per la gestione non solo di queste risorse ma anche di quelle ordinarie, e un fattore di crescita per le amministrazioni del Sud.
L’autonomia regionale lo sviluppo dei territori e la riduzione del divario
Fin qui ho parlato di una risposta all’uguaglianza posta come ambizione di ogni politica di sviluppo di un Paese che ha ottenuto dalla Coesione, cioè da parte di una politica unitaria, la risposta giusta anche se purtroppo non risolutiva, che ha puntato tutto sulla solidarietà infra territoriale e cercato di dare risposte il più possibile non frammentate. L’autonomia regionale quali elementi di correzione e di beneficio può apportare ai divari di sviluppo divenuti nel tempo, come bene sottolineano i Rapporti Svimez degli ultimi anni, divari nella fruibilità dei diritti di cittadinanza nonostante politiche unitarie come la Coesione? “La Legge Calderoli (86/2024) porta alle sue estreme conseguenze quelli che possiamo considerare i limiti principali del modo in cui è andato via via configurandosi, dal 1970 ad oggi, l’assetto regionale italiano, che sono l’attribuzione alle Regioni di competenze di spesa senza una corrispondente attribuzione di responsabilità di entrata, e l’attribuzione – da parte del Titolo V varato nel 2001 – di potestà legislativa concorrente in materie che hanno esternalità nonché economie di scala di rilevanza nazionale, come l’energia, i trasporti nazionali, l’istruzione, le comunicazioni, la tutela e sicurezza del lavoro, il commercio con l’estero; generando situazioni di rivendicazionismo finanziario nei confronti dello Stato e insufficiente responsabilizzazione delle giunte regionali nei confronti delle comunità amministrate”.[2]
Se mai venisse davvero attuata con tutti i limiti già mostrati nel dibattito che ha preceduto la sentenza della Corte Costituzionale 192/2024 che ha ricostruito il quadro costituzionale del principio inderogabile dell’uguaglianza, come in quello che l’ha seguita, non potrà portare ai temi della riduzione dei divari strettamente connesso al tema dell’uguaglianza alcun utile contributo. Infatti l’ottica in cui si muove è quella frammentaria del trattenimento delle risorse generate – sul conteggio corretto delle stesse ci sarebbe molto da argomentare e approfondire ma non è questa la sede- su ogni piccola porzione di territorio di un Paese che può svilupparsi solo se sposa una visione unitaria del suo territorio.
Conclusioni
L’Italia è già di per sé assai piccola per competere da sola nello scenario globale, se venisse vissuta come una sorta di unione condominiale o di cortili cooperanti non potrebbe che precipitare ancor più nell’irrilevanza impedendo la crescita delle sue regioni meno sviluppate e nuocendo a quella delle sue regioni più sviluppate con un doppio danno per il Paese nel suo complesso.
[1] a) Banca d’Italia n. 25 – il divario nord sud: sviluppo economico e intervento pubblico giugno 2022 b) SRM – Il manifatturiero del Mezzogiorno nell’attuale contesto geoeconomico. Interdipendenze e competitività – Vol.11 2025
[2] Claudio De Vincenti. Politiche di Coesione e autonomia differenziata https://www.forumpa.it/programmazione-europea/politiche-di-coesione-e-autonomia-differenziata/