Valdo Spini, nato il 20 gennaio 1946 a Firenze, ha mostrato fin da giovane la vocazione per l’impegno politico, partecipando a varie associazioni studentesche e aderendo poi, nel 1962, al Partito Socialista Italiano. È stato nominato sottosegretario al Ministero dell’Interno, sottosegretario agli Esteri e, qualche anno dopo, ministro dell’Ambiente. Ha fondato la Federazione Laburista e, nel 1998, ha cofondato i DS (Democratici di Sinistra). È consigliere comunale di Firenze, docente universitario e socio fondatore della Fondazione Circolo Fratelli Rosselli, di cui è attualmente Presidente, nonché Direttore della rivista trimestrale “Quaderni del Circolo Rosselli” (edita da Alinea editrice, Firenze). Nel 2010 è stato eletto presidente del Coordinamento delle Riviste Italiane di cultura (CRIC), dal 2012 al 2022 è stato presidente dell’Associazione Istituzioni di Cultura Italiana (Aici).
I tre giorni dedicati alla biennale Firenze RiVista si sono appena conclusi, lasciando una fitta rete di intrecci, spunti, incontri e scambi d’opinione fra riviste culturali e case editrici indipendenti. Nel complesso panorama politico che stiamo vivendo, quale deve essere la funzione delle riviste culturali?
Forse sarà anche una funzione controcorrente, ma è una funzione molto preziosa perché il sistema della comunicazione politica oggi prevalente prevede messaggi molto brevi e incisivi, messaggi che vogliono richiamare l’attenzione. Naturalmente, questo sistema ha sì dei pregi, ma il difetto, in qualche modo, è di non favorire un’analisi attenta e magari anche collettiva. Oramai c’è una tendenza emergente nei singoli, quella di farsi il proprio blog dove poi cercare i propri indirizzi preferiti… le riviste sono un’altra cosa. Le riviste sono in genere nuclei di volontariato culturale, come voi, che cercano di confrontarsi su un filone di argomenti e nel farlo creano una base culturale più solida e possono permettersi anche un’analisi critica, analisi che oggi forse, in generale, latita. Probabilmente perché siamo usciti da un periodo che per motivi storico-economici e politici, ha fatto sì che si tendesse di più a parlare contro qualcosa o qualcuno o a parlare con rancore di qualcosa o di qualcuno, che non a presentare in positivo programmi e possibilità. Le riviste si muovono in quest’altro ambito e con questo scopo, ma è evidente che per portare qualcosa nel dibattito hanno bisogno di mettersi in rete: ecco l’importanza di eventi come, per esempio, “Firenze RiVista”.
A proposito di eventi, come CRIC faremo uno stand di riviste anche a “Più libri più liberi” a dicembre a Roma, alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, perché questi eventi nei quali il pubblico può girare fra le varie “bancarelle”, prendere in mano le riviste e soppesarle ridanno vigore a uno strumento culturale – quello della rivista, appunto – che è abbastanza sparito dal panorama delle librerie commerciali. Probabilmente i potenziali lettori non vedendole non provano il gusto o l’interrogativo di acquistarle. Il Coordinamento delle Riviste di Cultura ha questo concetto di rete, che vale sia per le riviste cartacee che per quelle online, che attraverso il sito e attraverso tante possibilità di comunicazione permette alle riviste di non fare soliloqui ma di intrecciare veri dibattiti, quello che si è intrecciato a Firenze, qualche volta anche con della dialettica (cosa che è per me molto positiva). Sono molto contento come direttore di una rivista, i ‘Quaderni del Circolo Rosselli’, di fare questa esperienza del CRIC, perché situazioni di questo genere sono un vero contributo a un approfondimento culturale, che altrimenti latiterebbe.
Oggi più che mai c’è la necessità di comunicare, fra le altre cose, la crisi della democrazia e le complessità della nostra epoca. Siamo però sempre più abituati ad una comunicazione veloce, stringata, a tratti superficiale e immediata, quella fornita dai social media. Che rapporto intrecciano con le riviste i “nuovi” media? Le riviste, dal confronto, escono depauperate o arricchite?
Facciamo un esempio concreto: una svolta importante come la proposta del compromesso storico fu annunciata da Berlinguer in tre articoli che si succedettero poderosi su ‘Rinascita’ nel 1973. Oggi nessuno avrebbe la pazienza di aspettare tre articoli su un settimanale per sapere dove si va a parare e che cosa si propone. È un esempio evidente che le riviste di partito prima erano molto importanti e che hanno perso peso. Bisogna che in qualche modo questa dialettica sia sostituita dalle nostre riviste. Qual è il rapporto con i social? Il rapporto può essere distruttivo o favorevole. Se si conduce una buona politica sui social, si può portare attenzione sul nuovo numero della rivista e sui singoli contenuti, senza contare che se io, per esempio, mi trovo ad Helsinki e voglio accedere a un determinato articolo di una determinata rivista non devo fare ‘caccia al fascicolo’ ma posso acquisire l’articolo velocemente su una piattaforma. L’ideale sarebbe che le riviste riuscissero ad intrecciare una presenza cartacea e una presenza sui social e, in questo caso, i social anziché indebolirle secondo me potrebbero tranquillamente potenziarle.
Tra gli obiettivi del CRIC (Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura), da lei diretto, c’è quello di «promuovere la diffusione e la lettura delle riviste culturali, in particolare nei circuiti educativi e dell’informazione, all’interno del territorio nazionale e all’estero». Come è nato il CRIC e con che mezzi si impegna a realizzare questo scopo?
Il CRIC è nato, ormai tanti anni fa, dall’associazione di una serie di riviste; il fondatore fu Federico Coen, allora direttore di ‘Mondo operaio’. Le prime riviste che si misero insieme lo fecero per cercare di fare abbonamenti, per cercare un rapporto con le istituzioni, per collaborare e così via. Con me abbiamo potenziato questo problema della presenza nelle fiere pubbliche e librarie; ma come si va a questi eventi? Ci si va magari qualche volta con piccoli contributi del Ministero della Cultura o di altri ministeri (per esempio per andare a Parigi dal 10 al 12 ottobre il Ministro degli Esteri ci ha fornito un paio di biglietti) ma per la presenza a “Più libri più liberi” a Roma si va grazie al contributo dell’8‰ della chiesa valdese, perché, come è noto, la chiesa valdese non destina l’8‰ al funzionamento della chiesa (quello spetta ai fedeli) ma a interventi di carattere sociale e culturale.
È Presidente della Fondazione Circolo Rosselli, una fondazione la cui storia centenaria nasce dal “Circolo di cultura” (Firenze, 1920), nato per opera dei fratelli Rosselli e di altri intellettuali antifascisti. A distanza di cento anni, dopo la distruzione e la ricostituzione del Circolo, qual è la sua eredità più grande? Qual è il suo ruolo a Firenze e in tutto il panorama nazionale?
Intanto la ringrazio per aver ricordato che siamo appunto diretti discendenti di un Circolo di cultura che fu fondato dai fratelli Rosselli nel 1920 e rifondato da Piero Calamandrei nel 1944, quando lo intitolò appunto ai due fratelli che nel 1937 erano stati assassinati dai fascisti. Noi abbiamo l’orgoglio di continuare questa tradizione che è una tradizione di socialismo liberale e di dialettica, anche molto libera, tra le forze politiche. L’impostazione dei Rosselli era un’impostazione rigorosamente antifascista e rigorosamente antitotalitaria. In questo sta forse anche la loro modernità: il socialismo liberale, questa concezione ideologica di Carlo Rosselli, espressa nel suo libro del 1930, è stato poi capace di dialogare con i riformismi più avanzati del mondo occidentale, evitando cappe ideologiche o conformistiche (che nel periodo staliniano erano di pregiudizio alla sinistra). Oggi noi vogliamo dare un contributo alla ripresa della dialettica del nostro Paese; sarebbe il caso di costruire seriamente programmi con metodi e con volontà di aggregazione, una vera e propria alternativa democratica che può essere il risultato di tante ideologie, di tante impostazioni e di tante coscienze. Sono assolutamente convinto che questa tradizione rosselliana possa dare un contributo particolarmente originale e particolarmente importante.
A livello nazionale ci siamo sforzati di fare rete con una serie di Circoli Rosselli che sono assolutamente autonomi; fra questi cito in particolare il Circolo Rosselli di Milano e il Circolo Rosselli di Roma, ma ci sono circoli anche di realtà più piccole (come per esempio il Circolo Rosselli di Cortona) che prendono in causa i fratelli Rosselli come spunto fecondo per affrontare appunto il dibattito sul presente. Il Circolo mantiene questa impostazione fiorentina e ha sede legale a Firenze, però ci guardiamo bene dall’avere un’impostazione in qualche modo ristretta o provinciale perché la Fondazione Rosselli si propone di avere un suo ambito nazionale e, per certi aspetti, europeo dato che i dibattiti e le impostazioni che facciamo sull’Europa hanno visto mettere insieme dei testimoni e degli esperti molto importanti. Proprio questa proiezione nazionale ed europea ha caratterizzato il Circolo fin dagli esordi dato che Carlo Rosselli scrive Europeismo o fascismo nel 1935, ponendo questa alternativa che mantiene vari elementi di attualità ancora oggi.