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Ragionamenti di cosmopolitica

3. La memoria dei colonizzati

Da tutti i punti di vista, il mondo contemporaneo si frammenta, come dimostra la creazione di nuove combinazioni eterogenee come i BRICS, che professano dei valori perfettamente inconciliabili, senza un’etica comune. Democrazia e dittatura, laicità e teocrazia, potenze ricchissime e stati impoveriti pretendono di fare fronte comune contro l’Occidente, senza altro progetto che disfare l’ordine antico delineando un nuovo disordine, preannunciato da Tzvetan Todorov nel 2003 e poi confermato. Qual è il suo fondamento? La difesa delle identità ridotte alla loro più semplice espressione, senza interferenze delle espressioni individuali, né della comunità internazionale, un’espressione qui vuota di senso, con il solo orizzonte di qualche scambio commerciale e una collaborazione militare limitata.

Da queste oscillazioni si ricava che il cosmopolitismo oscilla tra un’etica universale introvabile e una diversità culturale che resta affascinata dalle identità. Certi filosofi ne hanno fatto una distinzione concettuale tra l’etica, che dovrebbe essere comune, e la morale (o le morali), propria a ciascuna cultura o ideologia. Bisogna ancora concettualizzare questa oscillazione, basandosi sulla contraddizione logica che caratterizza la dinamica, equilibrata o sbilanciata verso uno dei poli: l’autonomia dell’individuo o della collettività e il suo ritrarsi in un’identità che esclude ogni base universale. François Julien (2016), Alain Renaut (20029) e compagni dicono giustamente che non esiste, per il semplice fatto che ogni fenomeno si evolve, come conferma la scienza che esplora e profondità quantistiche: l’elettrone non è più una particella che oscilla attorno a un nocciolo fisso, ma salta per per quanti discontinui, ovvero secondo un movimento discontinuo associato al concetto di quanto.

Guardando le cose su un asse verticale, Kant aveva percepito il pericolo di una federazione di stati suscettibile di precipitare nella dittatura degli attori più potenti, politici (stati, imperi) o civili (economici, sociali, culturali ideologici). L’equilibrio o la sintesi tra queste forze opposte, che convegno o divergono, è di là da venire, finché questa potenzialità teorica divenga una forma di governo effettiva.

Il colonialismo come sistema politico, i cui due modelli classici sono lo sfruttamento economico dei territori conquistati il loro popolamento, allo scopo di ridurre le popolazioni autoctone allontano di minoranze o assimilarle, non si può comprendere nel quadro riduttivo di un solo stato, impero o nazione (in questo caso “franco-francese”). Il dibattito deve essere ricollocato nella storia mondiale delle colonizzazioni e occupazioni imposte dagli imperi in differenti epoche, in differenti regioni e con differenti modalità. Non si limita alle imprese imperiali portoghesi, francesi, britanniche o belghe, che i loro effetti siano i no. Il risentimento degli Algerini contro la colonizzazione francese e l’installazione nel loro paese di circa un milione di francesi, chiamati “piedi neri” (10% della popolazione) comprensibile e giustificato, ma tutto deve essere contestualizzato, per evitare di farne un avvenimento unico ed eccezionale. In confronto, l’espansionismo cinese ha mantenuto nei Vietnamiti un risentimento generato nei 1000 anni di dominazione (17 a.C.-938 d.C.), che provocarono numerose insurrezioni, seguiti da 900 anni di indipendenza (938-1862) e di migrazioni verso il sud, una risentimento che impedisce fino ai nostri giorni un’influenza cinese continua. Questo senza dimenticare gli ottant’anni di colonizzazione francese (1862-1945) e l’occupazione giapponese dal 1940 al 1945.

Facciamo un paragone con la Cina, la cui ambizione universalista è tradizionale. Rimonta all’anno 1000, con lo scambio di ambasciate con i regni dell’estremo oriente e del sud-est asiatico, e continua con le grandi missioni d’esplorazione oltremare, il più lontano possibile. I sette viaggi di Zeng He sono i più famosi, dal 1405 al 1433, con 200 navi e 27800 membri dell’equipaggio, prima delle grandi esplorazioni marittime degli Europei. Esplorarono le coste africane fino a Zanzibar, prima di ripiegare sulla potenza continentale dell’impero. Queste ambizioni dell’impero Ming si mantengono fino ad oggi in diversi modi, come la lente distruzione della cultura figura nel Sinkiang (o Turkestan orientale), mediante la colonizzazione demografica di questa provincia, destinata a trasforma gli Uiguri in una minoranza nel proprio paese. La colonizzazione del Tibet, poi, è quasi caduta nell’olio dopo la sua occupazione e annessione nel 1960. Divenuto impero dal VII secolo alla metà del IX con due ambasciate in Cina, il Tibet possiede una delle culture più prestigiose dell’Asia dopo il radicamento del buddismo che, optando per la tradizione indiana e tantrica a detrimento di quella cinese, divenne religione di stato. È questa storia e questa cultura che la Cina sta per distruggere, anche qui installando delle popolazioni han, divenute maggioritarie.

Di fatto, tutte le regioni del mondo sono coinvolte, ma la memoria collettiva dei colonizzato è talora corta quanto quella dei coloni. Gli stessi Europei si ricordano malgrado tutto che l’impero Romano non era europeo in senso stretto e colonizzò l’insieme delle regioni mediterranee. E tuttavia queste regioni chiedono riparazioni a Roma per essere risarcite della dominazione antica dell’Impero Romano? Lo stesso ragionamento si porrebbe per il resto dell’Africa e per le Americhe, dove le vecchie generazioni delle popolazioni decolonizzate mantengono viva nella memoria la presenza europea, ma ignorano la colonizzazione anteriore o subalterna delle popolazioni dette autoctone o indigene sul loro territorio. Assimilate o isolate, esse possono essere preda di conflitti etnici all’interno di stati che non sono quasi mai stati-nazione.

Le epoche anteriori alla colonizzazione europea hanno visto gli Aztechi o gli Inca costruire il loro impero sottomettendo decine di popolazioni locali, che non hanno acquisito nessuna indipendenza, o raramente qualche autonomia, mentre i nuovi stati decolonizzati hanno invece conquistato l’indipendenza.

In diversi paesi difensori delle terre indigene sono vittime di violazioni di diritti umani, persino in paesi come il Canada,  altri versi democratici. Sono rari i casi in cui essi recuperano una tra autonomia, come recentemente in Brasile, dove la Corte suprema ha confermato il 21 settembre 2023 il diritto egli indigeni sulle loro terre, dichiarando incostituzionale la tesi del “quadro temporale” decisa dai gruppi agroindustriali, che avrebbe permea la deforestazione.

Si può citare nello stesso senso la colonizzazione dell’Arica, dopo la scissione degli antichi imperi (Ghana dall’VIII al XII secolo, Mali dal XIII al XIV., Songhai dal XII al XVI, Monomotapa dal XV al XVI) governati da re dai poteri molto estesi.Più tardi, i Fan venuti dal nord (o Pahouin, detti “antropofagi”) invasero il Camerun e  il Gabon fino all’Ogooué, tra il XVII e il XX secolo, spinti loro stessi dai Dogon sedentari e animisti, o ancora le etnie sudafricane sotto il formidabile Shaka (il “Napoleone nero”), che invase nel 1818 numerosi territori, di cui assimilarono le popolazioni per creare un regno ufficiato e omogeneo.

Come si vede, la questione classica della colonizzazione sfocia in numerosi episodi storici di  colonizzazione in senso stretto, così come vengono ricordati nei singoli casi dagli uni o dagli altri.

In copertina: AM Hoch, One Breather, (detail), oil on canvas, 72 x 48 inches, 1986

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