a cura di Jean-Claude Mairal e Pierrick Hamon
Vladimir Fédorovski, diplomatico e scrittore russo, è figlio di un eroe ucraino della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1972 è addetto all’Ambasciata dell’URSS in Mauritania, dove, grazie alla sua conoscenza dell’arabo, assiste Leonid Brežnev come interprete. Nel 1977 è addetto culturale a Parigi. Tornato a Mosca, lavora presso il Ministero degli Affari Esteri. Durante questo periodo, stringe un’amicizia con Aleksandr Jakovlev, braccio destro di Gorbačëv e considerato l’artefice della perestrojka. Nel 1990 decide di abbandonare la carriera diplomatica per partecipare alla creazione di uno dei primi partiti democratici russi, il Movimento delle Riforme Democratiche. Ne diventa portavoce durante la resistenza contro il colpo di Stato di Mosca nell’agosto 1991. I suoi libri, scritti in francese, riscuotono un successo internazionale e sono tradotti in 28 paesi. In Francia è spesso invitato a commentare alla televisione la situazione geopolitica internazionale.
A gennaio, nella prima parte di quest’intervista, rilasciata a I – Dialogos (e pubblicata anche nel n. 5 di LAB, Vladimir Fedrorovski aveva affermato che l’arrivo di Donald Trump alla Casa e le sue dichiarazioni clamorose avevano completamente cambiato il quadro internazionale, in particolare riguardo alla guerra di Ucraina. Gli Europei, che avevano rifiutato ogni dialogo e ogni negoziato con i Russi, oggi invece chiedono di non esserne esclusi. Come analizza ora questa situazione?
La situazione attuale è frutto di un processo, certo rapido, ma che si sviluppa in tre tappe.
La prima è quella prodotta dal rappresentante del Presidente Trump, il generale Keith Kellog, che era stato immediatamente incaricato dei primi contatti in sordina, insieme a quelli stabiliti a diversi livelli partire dal 21 gennaio, compresi quelli dei servizi segreti.
Questo si è poi prolungato fino al 12 febbraio. Si trattava di proporre un congelamento del conflitto nel più breve temp possibile, fino a concepire un dispositivo di interposizione per arrestare rapidamente la guerra.
Elon Musk e il vice-presidente Vance sono stati pienamente impegnati in queste iniziative con Steve Vitkoff, emissario di Trump per il Medio Oriente, il cui ruolo è stato essenziale per lo scambio di prigionieri. È lui che ha preparato i negoziati con Putin con la famosa comunicazione telefonica di più di un’ora e mezza.
Questo ha fondamentalmente cambiato la situazione. I contatti furono in seguito approfonditi in Arabia Saudita con Cyril Dimitriev, l’omologo russo di Vitkoff.
L’essenziale è che sono soprattutto riusciti a ristabilire degli scambi che, nel periodo precedente erano stati interrotti, mentre paradossalmente durante la guerra fredda il dialogo non era mai cessato, come ho ricordato nella prima parte di quest’intervista.
Si è potuto allora affrontare le questioni relative alle prospettive economiche connesse a un’eventuale attenuazione delle sanzioni.
Ma l’incontro molto mediatizzato del 28 febbraio scorso nell’Ufficio Ovale della Casa Bianca, di fronte alle telecamere, ha rivelato una tensione estrema. Sono state pronunciate parole molto offensive, nemmeno tutte divulgate dalla stampa europea.
Trump ha così potuto affermare in quest’occasione che aveva fatto il massimo, ma che non aveva funzionato, e da questo la sua colera contro il presidente Zelenski.
Il piano A, che prevedeva un approccio “all’austriaca” (trattato di neutralità) non ha potuto realizzarsi. Trump ha allora brutalmente proposto di rifilare la patata bollente agli Europe, a loro spese.
Macron e Starmer, per tutta risposta, hanno pensato bene di annunciare la costituzione di una forza d’interposizione che sarebbe totalmente inaccettabile per i russi, tenendo conto di rischi di ripresa ulteriore del conflitto senza una reale soluzione duratura.
Comunque, una tale decisione in diritto internazionale non può essere presa che nel quadro delle Nazioni Unite, con un mandato del Consiglio di Sicurezza, cosa che russi e cinesi evidentemente non accetteranno.
D’altra parte, sul piano militare, senza una copertura aerea americana e delle garanzie di sicurezza da parte USA, gli Europei non avranno mai la potenza necessaria. Se scelgono l’escalation, bisogna capire che essa sarà vertiginosa, con la possibilità della terza guerra mondiale.
Questa ipotesi dell’invio di truppe, discussa tra gli americani e i francesi, potrebbe aggravare la situazione. È quello che giustamente temono le popolazioni.
Sarebbe un passo verso il confronto diretto con la Russia, e da questo deriva la nostra tesi che stiamo vivendo “il momento più pericoloso nella storia dell’umanità”.
Nel frattempo, sul terreno, sul piano militare, i Russi avanzano e questo potrebbe essere ancora più drammatico, con la conseguenza di una accresciuta demoralizzazione dei combattenti ucraini.
Non dimenticate che la comparsa da cinque o sei mesi del nuovo e potentissimo missile balistico “Orechnik”, capace di coppie bersagli a unga distanza con grande precisione e con effetti devastanti, cambierà più a fondo il quadro militare, anche in rapporto l’arma nucleare.
Il fatto è che, nonostante gli annunci clamorosi del ministro francese Le Maire, le sanzioni europee non sono riuscite a scardinare l’economia russa. Al contrario, la Russia vive una crescita del 4%.
Sl piano degli armamenti, non solo non è crollata, ma l’anno prossimo produrrà più di un milione di proiettili d’artiglieria.
Trump, che prevede di rilanciare gli scambi economici con la Russia, è – contrariamente a certe affermazioni – seguito dalla sua maggioranza repubblicana, compresi quei senatori repubblicani che finora erano amici dell’Ucraina.
In realtà, l di là delle immagini clamorose e i propositi minacciosi, ci sono riprese di contatti tra americani, russi e ucraini.
Il piano B prevede che l’incontro con Putin sarà centrato questa volta sui rapporti bilaterali oltre e anche su altri conflitti.
Alle Nazioni Unite, gli europei hanno spinto per l’adozione di una risoluzione, ma gli americani hanno immediatamente aggiunto e fatto adottare al Consiglio di Sicurezza una risoluzione molto più equilibrata, che non indica certo nessuno come aggressore, ed è stata votata da americani, russi e cinesi, mentre gli europei si sono ridotti ad astenersi.
Il nuovo presidente americano tenta di stabilizzare la situazione per potersi concentrare sull’economia americana. Per lui, sul piano internazionale, priorità è la Cina e il Vicino Oriente.
Se il suo piano tende a allontanare la Russia dalla Cina, non si può fare a meno di costatare che, in questi ultimi giorni, gli scambi fra Trump e Putin si svolgono in pieno accordo con i cinesi.
In copertina: particolare di Vladimir Fedorovski, Le diplomate venu du froid: des complots du Kremlin à la succession de Poutine, Editions Balland, 2023