La discussione iniziata sul futuro dell’opposizione non è convincente. Anzitutto si dovrebbe riconoscere che le attuali opposizioni hanno la responsabilità storica di avere affrontato nel 2022 la sfida elettorale con le destre (unite da un’alleanza per il potere) incapaci di evitare il disastro di una maggioranza parlamentare di destra del 59% conquistata con solo il 44% dei voti. Le responsabilità di questa sconfitta annunciata sono diffuse e oggi in ogni occasione significativa la maggioranza delle destre ci ricorda che  a metà legislatura nessuno sa dire se si ripeterà il disastro del 2022. La gravità del rischio è talmente grave da meritare un’attenzione che ancora non c’è da parte delle diverse opposizioni politiche e che dovrebbe essere oggetto di preoccupazione anche per le diverse soggettività sociali.

Il primo elemento di valutazione è l’influenza di una malintesa fedeltà atlantica che ha condizionato ogni altra scelta, in particolare sulla guerra in Ucraina. Questa scelta ha adottato una visione unilaterale della situazione con la conseguenza di non riuscire ad accompagnare il sostegno all’Ucraina almeno con una forte iniziativa per trattative e pace. Per questo la posizione è diventata un sostegno “fino alla vittoria” dell’Ucraina, in osservanza alle scelte Usa e Nato. Con la drammatica conseguenza di relegare in secondo piano la lotta al cambiamento climatico, che richiede la convergenza tra diversi, e di portare in primo piano il riarmo, fino alla proposta attuale di  considerare fuori dai vincoli europei di bilancio le spese per gli armamenti. E’ evidente lo spirito guerrafondaio che caratterizza questa deriva bellicista, fino a prefigurare una nuova suddivisione del mondo, pur diversa dal passato.

Altro elemento è la sottovalutazione del ruolo che può e deve avere la nostra Costituzione i cui principi fondamentali possono ispirare un programma di governo alternativo alle destre, le quali – non a caso – nel loro programma hanno scritto elementi di sovversione costituzionale con cui stiamo facendo i conti. Autonomia regionale differenziata, prezzo pagato dagli alleati alla Lega; separazione delle carriere e conseguente Csm diviso, composto con sorteggio per disarticolare l’associazionismo dei magistrati (l’Anm ha superato l’80% dei votanti per la rappresentanza in controtendenza all’astensionismo nelle elezioni generali) con conseguente rischio per l’autonomia dei Pm e per l’obbligatorietà dell’azione penale, sono tutte modifiche radicali della Costituzione; premierato e cioè elezione diretta del Presidente del Consiglio con conseguente accentramento dei poteri e comprimendo il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, riducendo il parlamento ad un ruolo subalterno al “capo” eletto direttamente, dando vita alla “capocrazia”.

Le destre puntano a cambiare la Costituzione con interventi radicali, le opposizioni avrebbero buon gioco a presentarsi idealmente (come i magistrati il 25 gennaio scorso) con in mano la Costituzione. L’errore del 2022 oggi viene riproposto da alcuni autorevoli esponenti delle opposizioni che sembrano avere dimenticato che proprio allora le opposizioni non riuscirono neppure a fare il cosiddetto accordo tecnico che oggi viene rilanciato come una grande trovata mentre è in realtà la rinuncia ad affrontare e superare le difficoltà per arrivare ad un accordo politico di legislatura. Perfino l’ipotesi che si torni a votare con il “rosatellum” alle prossime politiche non è detto che si realizzi, visto che a destra c’è un ripensamento sul ruolo della legge elettorale. Se fosse così semplice si sarebbe fatto nel 2022, come fu proposto e non ascoltato come ultima possibilità di evitare il disastro prima del voto. Così avremmo evitato di trovarci con una destra gonfiata dai meccanismi astrusi del rosatellum. Una destra che usa questa rendita (regalata) di una larga maggioranza parlamentare senza tanti riguardi per imporre le sue soluzioni.

La discussione fin qui sviluppata ha un limite di fondo ed è ragionare considerando solo i rapporti tra i gruppi dirigenti delle opposizioni, senza rendersi conto che le destre hanno si avuto un regalo imprevisto ma stanno alacremente lavorando per consolidare il loro ruolo, sia usando il potere allargato che implica lo stare al governo (nomine, ecc.) sia galvanizzando il loro elettorato con descrizioni che non corrispondono alla realtà ma che le opposizioni stentano a contrastare con efficacia.

Per di più dove sta scritto che si voterà nel 2027? La maggioranza è in affanno, sono le opposizioni che non riescono a decollare con un’opposizione alternativa credibile tale da farle esplodere. Ormai è chiaro che questa destra non porterà a risultati per il futuro del nostro paese, che è sostanzialmente fermo malgrado i miliardi del PNRR e che avrebbe bisogno di un intervento forte ed urgente, altrimenti non sarà in grado di reggere la gelata economica del trumpismo che spingerà Italia ed Europa in recessione.

Mancano idee forti e determinazione, è sbagliata l’analisi delle destre e sono deprimenti le loro proposte. Un esempio, l’auto è in crisi e per di più si rischia che la Cina diventi dominante nelle auto elettriche come lo è nei pannelli solari ma il governo ha tolto oltre 4 miliardi di euro dalla legge di bilancio.

Non c’è solo l’economia in stallo, che pure è decisiva, sono i meccanismi di fondo della democrazia moderna che rischiano una crisi verticale e c’è il rischio che le opportunità del PNRR vengano sprecate, anche sulla guerra le destre sono incapaci di qualunque iniziativa autonoma e questo riverbera anche sull’Europa che a sua volta è più afona del solito e sa solo parlare di aumentare produzione ed acquisto di armi, mentre dovrebbe preparare un’evoluzione dell’Europa verso la pace.

La discussione tra le opposizioni non deve guardare solo i rapporti tra i gruppi dirigenti ma deve avere di mira un coinvolgimento forte dei cittadini per renderli protagonisti di una nuova fase di costruzione di un’alternativa di massa alla destra che si candida a governare contro le destre. Una proposta preconfezionata nei salotti per coinvolgere solo dopo i cittadini non darebbe alcun aiuto a ridurre l’astensionismo, che è il vero, grande, preoccupante problema della democrazia. Il referendum sull’autonomia regionale differenziata era una potente occasione, insieme agli altri referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. La Corte costituzionale ha preso una decisione contraria, non condivisibile, influenzata dalla preoccupazione che il referendum potesse dividere il paese ma la Consulta ha dimenticato che un referendum abrogativo è sempre promosso per cancellare scelte già fatte, quindi divisiva è la legge  Calderoli, che la Consulta però non ha cancellato integralmente.

Il referendum sull’autonomia regionale differenziata era per le opposizioni il massimo punto di unità, ora non c’è più. Il valore di questo referendum stava nel potenziale coinvolgimento delle persone e poteva convincerle a votare, quindi un formidabile appuntamento per tutti: dirigenti, militanti, elettori, cote politico e cote sociale. Ora restano gli altri referendum che sono anch’essi molto importanti ma hanno apprezzamenti non univoci nelle opposizioni. La spinta unitaria non è immediata ma un buon lavoro può risolvere molti problemi.

Quindi se ora non si vuole cadere nella depressione politica di un’opposizione che ha perso il più importante punto di unità politica e sociale occorre costruire un percorso credibile che partendo dalla Costituzione (che resta il fondamento che deve ispirare un programma alternativo alla destra) arrivi ad un progetto che renda possibile e credibile un’alternativa alla destra, anche prima della scadenza naturale del 2027. Sarebbe diabolico se le opposizioni si facessero trovare impreparate di fronte ad una crisi improvvisa del governo delle destre, sempre possibile. Di più, proprio una credibile alternativa potrebbe incalzare il governo della destra e moltiplicarne le difficoltà fino a provocarne la crisi.

Un abbozzo di programma è indispensabile, partendo dalla Costituzione, ed è responsabilità dei gruppi dirigenti, ma occorre che questo dia vita ad un’ampia campagna di partecipazione, puntando a fare scrivere il programma dell’alternativa alle persone che sono disponibili ad impegnarsi sulle proposte, scrivendo, votando, mobilitando. Una grande discussione di massa è il modo migliore per preparare un’alternativa credibile alla destra. Esperienze precedenti hanno dato buona prova, perché dovremmo rinunciare alle esperienze positive del passato? La condizione è che il programma sia non solo dei partiti ma costruito con la società e con gli elettori.

Quello che manca nella discussione fin qui svolta è il lancio di una prospettiva forte, ideale e politica, sociale e partecipata, che cammini nella coscienza e sulle gambe delle persone. Occorre suscitare emozioni, non può essere un confronto a tavolino, nei salotti. E’ nel vivo delle lotte che si formano i quadri, le esperienze dei militanti, le nuove gerarchie nei dirigenti, da solo nessuno di questi sarà in grado di convincere chi si è ritirato deluso dall’impegno a tornare e a fare la sua parte, dando vita ad un grande patto per un’alternativa alle destre. Non c’è più tempo da perdere. Il momento è ora. Trump e la destra in campo nel mondo e in Europa non sono un fenomeno passeggero, la possibilità di costruire elementi di iniziativa unitaria va iniziata prima possibile per evitare di lasciare ad una destra aggressiva il tempo, che altrimenti non avrebbe, di durare. Prima l’alternativa politica e sociale sarà in campo per il futuro dell’Italia e dell’Europa meglio sarà.

In copertina: foto di Fabrizio Uliana, © Fabrizio Uliana 2014

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Alfiero Grandi

Iscritto alla Federazione giovanile comunista di Bologna nel 1960, ne è stato segretario dal 1967 al 1969. In seguito nella segretaria della federazione del Pci di Bologna fino al 1975, dopo un periodo nella struttura di formazione della Cgil ha diretto la contrattazione nella segretaria regionale fino al 1980 quando ne è diventato segretario generale aggiunto e dal 1985 segretario generale. Nel 1988 su proposta della Cgil nazionale diventò segretario generale della funzione pubblica cgil e nel 1990 entrò nella segretaria confederale della Cgil diretta da Bruno Trentin. Nel 1996 lasciò la segreteria Cgil e diventò responsabile nazionale lavoro nella segreteria Pds di Massimo D'Alema fino al1999 quando diventò sottosegretario alle Finanze nel 2° governo D'Alema, poi di nuovo sottosegretario alle Finanze con il 2° governo Amato. Eletto nel 2001 deputato nel collegio di Bologna Borgo Panigale divenne vice presidente della commissione finanze. Nel 2006 tornò nel 2° governo Prodi come sottosegretario al Ministero dell'Economia occupandosi di fisco a fianco del vice MInistro Vincenzo Visco. Sciolti i DS nel 2007 non entrò nel Pd e rimase in Sinistra Democratica fino alla nascita di Sel, in cui non entrò, da allora non ha più avuto tessere di partito. Nel 2008, sfiduciato il governo Prodi, rinunciò ad avere ruoli di rappresentanza politica e istituzionale, scrisse un saggio edito da Ediesse "Ripartire da Prodi" e aderì all'Ars fondata da Aldo Tortorella. Di fronte alla decisione del governo Berlusconi di riproporre il nucleare civile, bocciato nel referendum del 1987, decise insieme ad un gruppo che condivideva l'obiettivo (Giorgio Parisi, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Massimo Serafini, Umberto Guidoni, Mauro Bulgarelli, Vittorio Bardi, per citarne alcuni) di preparare un'iniziativa referendaria per abrogare il nucleare. Malgrado rapporti non facili con Antonio Di Pietro si arrivò a raccogliere le firme per cancellare l'iniziativa del governo Berlusconi e ad un coordinamento delle associazioni ambientaliste storiche con la nuova associazione "Si alle rinnovabili no al nucleare" di cui era divenuto Presidente. In seguito alla vittoria del No nel referendum divenne Presidente dell'Ars su proposta di Aldo Tortorella e nel 2015 partecipò alla costituzione del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale per contrastare la controriforma costituzionale di Matteo Renzi e diventò vice presidente vicario del prof Alessandro Pace. Il Coordinamento diede vita a due distinti comitati referendari, uno per la bocciatura della controriforma costituzionale Renzi, presidente onorario il prof Gustavo Zagrebelsky, e uno contro l'Italicum che ne era il braccio elettorale, di questo comitato fu Presidente onorario il compianto prof Stefano Rodotà. Dopo la vittoria del No nel referendum che cancellò la controriforma costituzionale Renzi Alfiero Grandi è rimasto vice Presidente vicario del Coordinamento di cui oggi è presidente il prof Massimo Villone dopo la rinuncia del prof Alessandro Pace.